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Dove è finito il 2 per mille alla cultura?

Chi ha avuto modo di vedere un modello per la dichiarazione dei redditi del 2016, si è probabilmente accorto di un’importante mancanza: la possibilità di destinare il 2 per mille delle proprie tasse alle associazioni culturali, introdotta peraltro solo l’anno scorso. Nessuna scelta politica, almeno attiva, ma una semplice dimenticanza, per la quale il Senatore Franco Panizza, segretario del Patt, Partito Autonomista Trentino Tirolese, ha presentato un’interrogazione urgente ai ministri Padoan e Franceschini. I modelli per le dichiarazioni sono già stati elaborati, ma forse c’è ancora qualche speranza per chi sceglie di compilarle online. Ne abbiamo parlato proprio con il Senatore Panizza.

Com’è possibile questa dimenticanza?

«L’anno scorso, seppur all’ultimo secondo, il modulo era arrivato e le associazioni culturali avevano potuto avere un sostegno, non di grande entità, ma comunque utile, per portare avanti le proprie iniziative. Quest’anno, nell’ultima Finanziaria, il Governo si è dimenticato di inserirla, poi al Senato non c’è stata la possibilità di emendare la legge perché il governo Renzi si è dimesso, quindi c’è stata un’approvazione del testo con la fiducia, senza una modifica, e si è arrivati a questo punto. Ora stiamo cercando di ripristinare il 2 per mille ma con margini molto ridotti, dovuti al fatto che molti moduli sono già usciti e quindi si tratterebbe di fare un modulo aggiuntivo, anche per le dichiarazioni online. Una corsa contro il tempo, ma se nella “manovrina” ci fosse un decreto legge che va immediatamente in vigore, allora potremmo farcela».

Sicuramente la dimenticanza è già un segnale, giusto?

«Sì, è un segnale un po’ preoccupante che significa che in Italia c’è una scarsa attenzione verso le realtà volontaristiche, mentre si privilegia la cultura professionale, organizzata, come quella delle fondazioni sinfoniche, che sono sicuramente importanti ma dal punto di vista sociale e dell’accessibilità culturale non hanno la stessa funzione di quelle volontaristiche».

Realtà che spesso, soprattutto nelle aree geograficamente marginali, sono tagliate fuori dai grandi finanziamenti e dai grandi bandi.

«Sì, nelle aree montane, per esempio, spesso rappresentano l’unico fattore di aggregazione e occasione di crescita culturale di qualità. Ma il bisogno di socializzare, di stare insieme e creare coesione sociale non è più proprio solo dei paesi piccoli o di montagna, ma riguarda anche le città. Fare musica, partecipare all’organizzazione di un evento, collaborare con una banda, un coro o una filodrammatica o altri esempi del volontariato culturale, serve anche a crescere come cittadini responsabili e va molto al di là di una semplice occasione culturale».

È possibile che provvedimenti come quello dell’anno scorso diventino strutturali nelle dichiarazioni dei redditi?

«Io credo di sì, perché questa idea delle detrazioni fiscali è un ottimo strumento, finché non ne troviamo un altro. Se un’associazione riesce ad avere tante scelte significa che è apprezzata, che lavora e si dà da fare sul territorio in cui è inserita. Un giudizio di merito, dunque, è il modo migliore di poterle finanziare, oltre a essere il più semplice. Il problema è che forse il governo ha un po’ esagerato con le opzioni, perché così si finanziano le organizzazioni religiose, le associazioni, i partiti e così via: rischiamo di fare confusione. Renderle strutturali potrebbe aiutare ad avere maggiore chiarezza».

Forse il fatto di aver dimenticato le associazioni ma non i partiti è stato un autogol in termini di immagine, in tempi di antipolitica come questi. Non crede?

«No, perché il problema con il 2 per mille non ha significato l’abolizione dei contributi alle organizzazioni culturali, le leggi che finanziano la cultura sono rimaste uguali e in qualche caso i finanziamenti sono aumentati. L’opzione ai partiti è la conseguenza dell’abolizione del finanziamento pubblico, dunque è un ripiego e non c’entra nulla. Poi, può darsi che si dovesse trovare un altro mezzo, ma anche in questo caso è giusto che siano finanziati maggiormente i partiti che hanno più consenso».