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Un chiaro no alla guerra

«Qual è il tuo nome ?» – chiese Gesù allo spirito immondo che gli venne incontro nella contrada di Gerasa (Marco 5). «Legione», fu la risposta. Infatti non si trattava di un solo demone, ma di una schiera di demoni il cui numero era difficile da contare. Se oggi chiedessimo alle forze che sconquassano il Medio Oriente «qual è il tuo nome?», la risposta non potrebbe essere altro che «legione». Difficile non ricordare, anche a caso, le forze che si combattono in Siria, con in testa Assad, il Daesh e Al Qaeda, l’Iran e la Turchia, l’Arabia Saudita e gli emirati del Golfo, l’Iraq e l’Afganistan, gli Usa, la Russia, la Cina e Israele, oggi defilato, senza dimenticare i Paesi, come l’Italia e non solo, implicati nel commercio delle armi. Legioni, appunto, migliaia di soggetti con le mani che grondano sangue e tutti camuffati nel corpo di un povero indemoniato, pronti a scaricare le proprie colpe sugli altri e a mentire spudoratamente in difesa dei propri interessi economici e geopolitici.

Preoccupa la tensione che si sta creando tra la Corea del Nord e gli Usa, con minacce di guerre nucleari. Ha fatto scalpore il recente attacco USA in Afganistan. Il 13 aprile è stata sganciata una bomba immensa, MOAB, di circa 10 tonnellate, del costo di 16 milioni di dollari, con effetti prossimi a un’esplosione atomica. Chi ne è il responsabile? Facile rispondere: il presidente Donald Trump. E che dire dei suoi consiglieri, dei suoi generali, del suo apparato militare? Tuttavia, nella legione che fa da corte al presidente Trump un posto particolare va riservato a quelle migliaia di elettori ed elettrici che lo hanno portato alla Casa Bianca. Se c’è un merito, difficile trovarne molti in Trump, è quello di avere annunciato per tempo il suo programma. Niente che assomigliasse a un programma pacifista; niente che non lo facesse vedere bellicoso e insensibile alle migliaia di poveri che premono per entrare negli USA; niente che non lo mostrasse insensibile ai diritti delle minoranze, del clima e della terra; niente che non lo facesse vedere come radicalmente opposto al suo predecessore. Eppure quest’uomo ha raccolto milioni di voti, anche se a conti fatti, per una peculiarità del sistema elettorale americano, Trump è diventato presidente pur non avendo ottenuto il sostegno della maggioranza dei votanti.

Non crediamo di impegnarci in una battaglia persa in partenza se pensiamo ad esorcizzare gli spiriti demoniaci che imprigionano la società e la costringono a vivere tra le tombe; che la percuotono e la lacerano in maniera disumana con armi micidiali, luridi commerci di armi e di esseri umani, riempiendo la terra e il mare di tombe e di cadaveri. Non possiamo arruolarci nella legione di chi schiavizza l’uomo, inquina la società, deturpa il creato. Non vogliamo seguire la legione di spiriti maligni impegnati a percuotere il corpo della società e a camuffarsi in un branco di porci che corre a precipizio verso la propria distruzione.

Non ci sentiamo di salire in cattedra come quelli che dicono: «avete visto? Ve lo avevamo detto! Lo dicevamo che Trump era ed è un personaggio fuori le righe». Non si tratta di voler avere ragione a tutti i costi. Tuttavia ci sia consentito fare una riflessione assieme a quegli elettori e a quelle elettrici che in Usa hanno votato Trump, specialmente se appartenenti alle chiese evangeliche o comunque credenti come noi. Si tratta di una riflessione che vuole coinvolgere anche l’elettorato italiano ed europeo, visto che nelle società democratiche non mancano gli appuntamenti elettorali.

Vanno smascherati gli interessi che muovono le guerre; va detto un chiaro no alla guerra come mistificazione di soluzione muscolare dei problemi che affliggono le società. Va ricordato senza stancarsi che la guerra non produce soluzioni ma distruzione, vittime, rancori e desideri di vendetta, in una spirale inarrestabile. Va sottolineato che le energie e le risorse impiegate nella guerra debbono servire a combattere la fame e difendere le persone meno tutelate. Si pensi che la bomba MOAB da sola costa quanto la metà del deficit italiano. Dopotutto, non c’è migliore dimostrazione del nostro essere discepoli di Cristo se non quella di affrontare il nemico con l’autorità della parola e senza armi. Così Gesù affrontò le legioni di spiriti maligni a Gerasa.

Forse ci stiamo spingendo un po’ oltre nel sostenere una lotta nonviolenta. Forse molti vorranno dirci: andate voi a combattere a mani nude i miliziani dell’ISIS. A questi cortesi oppositori vorremmo dire che la lotta nonviolenta non vuol dire andare a farsi massacrare presentandosi inermi. La nostra proposta nonviolenta e alternativa all’attuale andazzo demoniaco vuole essere credibile, dunque va costruita in alternativa allo status quo. Non vogliamo parlare di nonviolenza e nascondere le armi dietro la schiena, pronti a sfoderarle al minimo accenno di pericolo. La lotta nonviolenta è una cultura e si costruisce con un percorso che la renda credibile e che la faccia percepire come reale alternativa alla corsa al riarmo, all’equilibrio del terrore, al si vis pacem para bellum.

Immagini: via istockphoto.com