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L’autismo da trattare e da gestire

A margine della Giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo, celebrata il 2 aprile, il pinerolese offre spunti per approfondire la riflessione sulle patologie correlate. Venerdì 7 aprile alle 18 a Pinerolo alla Libreria Volare di Pinerolo in corso Torino 44 viene presentato il libro di Maurizio Arduino, Il bambino che parlava con la luce – Quattro storie di autismo. A dialogare con l’autore ci sarà Marco Rolando, direttore del reparto di Neuropsichiatria Infantile dell’ASL TO3 e Giusi Burgio, coordinatrice del Centro Autismo BUM di Pinerolo creato e gestito dalla Diaconia valdese.

Il Bum è nato nel 2016 ed è passato da accogliere una trentina di bambini ai circa 70 di oggi ed entro settembre saranno 95, evidenziando come il fenomeno sia sempre più in aumento. Al Bum lavorano 23 tra operatori e operatrici oltre alla coordinatrice Burgio. «Il Centro – spiega Burgio – offre uno spazio di accoglienza ed attività strutturate che conducono i bambini a portare avanti percorsi volti all’acquisizione di autonomie e abilità sociali e ad avere strumenti per comunicare e per relazionarsi con l’ambiente. I progetti attivati sono realizzati in rete con altri enti in modo da offrire una presa in carico il più possibile globale dei bambini, evitando la suddivisione a spicchi e a settori che è emersa come problematica non sufficientemente efficace nel trattamento di un disturbo così complesso e particolare come quello dello spettro autistico».

Maurizio Arduino è psicologo e psicoterapeuta, ed è responsabile del Centro Autismo e Sindrome di Asperger (C.A.S.A.) di Mondoví, in provincia di Cuneo, centro pubblico dell’Asl CN1. Ha fatto parte del Tavolo nazionale autismo presso il Ministero della Salute ed è docente in corsi di formazione e master presso diverse università italiane, in più è condirettore della rivista «Autismo e disturbi dello sviluppo», una vita passata a studiare e a trattare l’autismo.

Dr. Arduino com’è cambiato l’approccio al trattamento dell’autismo negli ultimi decenni?

«La mia è un esperienza della quotidianità di un ambulatorio pubblico che ha come interlocutore principale le famiglie e la scuola. È interessante fare un confronto tra la situazione di oggi e quella di un tempo. Allora, i bambini autistici tra i 4 e i 7 anni non venivano scolarizzati e venivano inseriti in ospedali psichiatrici e in padiglioni dedicati a bambini disabili. La cosa tragica era che venivano considerati bambini ineducabili e non veniva fatto un intervento educativo che consentisse di migliorare le loro difficoltà. Fortunatamente oggi non è più così. C’è l’inclusione scolastica e c’è un’attenzione importante all’educazione perché se si interviene precocemente i bambini con autismo possono migliorare in modo significativo».

Cosa è migliorato?

«Oggi si parla di disturbi dello spettro dell’autismo per indicare che c’è un estrema eterogeneità dei quadri e delle persone con questo tipo di diagnosi. Per dare un esempio degli estremi, possiamo avere un bambino di quattro anni che non parla, che ha difficoltà a comprendere le parole e che ha un ritardo importante, ma possiamo avere dall’altro lato un bambino, sempre di 4 anni, che parla perfettamente, sa leggere e scrivere ed è più intelligente della media. Tra questi due estremi ci sono tutte le sfumature dello spettro dell’autismo. Trent’anni fa si parlava di psicosi infantile e i casi più gravi non venivano né diagnosticati né trattati. Si dava per scontato che fossero delle forme infantili di psicosi e schizofrenia. Oggi invece sappiamo che sono dei disturbi del neurosviluppo, cioè che riguardano lo sviluppo del sistema nervoso centrale e la possibilità di comunicare e di relazionarsi con gli altri e di avere dei comportamenti adeguati al contesto».

Di cosa parla il suo libro?

«Sono quattro racconti che partono da esperienze che ho conosciuto e mettono insieme situazioni diverse, quindi non sono le trascrizioni di casi clinici che si possono leggere sulle riviste specializzate. Sono delle narrazioni che riguardano la quotidianità, non solo dei bambini ma anche anche dei loro genitori, degli insegnanti e degli operatori che li hanno seguiti: terapisti, neuropsichiatri, logopedisti, educatori. Sono quattro storie abbastanza diverse, quattro bambini in posizioni differenti dello spettro dell’autismo: dal bambino che non parla e che anche da adulto non sviluppa il linguaggio anche se migliora in altri aspetti perché impara a comunicare in maniera non verbale con delle strategie visive, con dei pittogrammi e con delle tabelle comunicative, fino al bambino cosiddetto ad alto funzionamento, più conosciuto come sindrome di Asperger, che arriva anche a laurearsi».

Quali sono i passi che bisogna ancora fare?

«Come dicevo, negli anni la situazione è molto migliorata e la strada è ben tracciata e ben avviata. L’aspetto più importante è quello educativo, e occorre continuare a lavorare con le metodologie avviate in questi anni. La realtà attuale dei servizi è a macchia di leopardo, ci sono situazioni in cui le famiglie sono in carico e i bambini vengono seguiti e altre in cui questo viene meno. Proprio in Piemonte, a fine 2016, c’è stato un decreto della Giunta regionale che ha messo a fuoco cosa bisogna fare con i bambini con autismo, dando anche delle indicazioni per l’età adulta, e ha stanziato 2 milioni di euro per i servizi della Regione. È qualcosa ma non è ancora sufficiente perché non si riescono a seguire in maniera ampia, soddisfacente e specifica tutte le situazioni, anche perché i casi sono in grande aumento. Oggi abbiamo il 5 per mille di minori con diagnosi di autismo, quindi circa 3 mila, e un numero molto più alto di adulti. Un ruolo sempre più importante lo avranno i genitori che devono essere opportunamente guidati, oltre alla scuola: i bambini hanno numerose ore di sostegno e se gli insegnati sono ben formati possono aiutare le persone a migliorare significativamente i loro disturbi e le loro difficoltà».