africa

«Non convertite i vomeri in spade»

Fonte: Lwf

Lo scorso 16 marzo le Nazioni Unite, per bocca del responsabile degli affari umanitari Stephen O’Brien, hanno lanciato un grido di allarme in relazione alle drammatiche vicende che stanno sconvolgendo varie regioni del pianeta: «Il mondo si trova di fronte alla più grande crisi umanitaria dal 1945 con oltre 20 milioni di persone colpite da fame e carestia. Senza sforzi globali collettivi e coordinati, la gente morirà di fame, e molti altri soffriranno e moriranno a causa delle malattie». Lo stesso O’Brien ha sollecitato l’invio immediato di fondi a favore dello Yemen, del Sud Sudan, della Somalia e della Nigeria.

La Federazione luterana mondiale (Flw) è presente in alcuni di questi paesi. Il segretario della Flw, pastore Martin Junge racconta la situazione sul terreno, il dramma delle migrazioni e chiede alle chiese uno sforzo maggiore nel far sentire la propria voce contro le spese militari dei vari stati.

Pastore Junge, quali notizie vi arrivano dai paesi in questione?

«Sono notizie inquietanti. Milioni di persone rischiano di morire di fame, soprattutto i soggetti più vulnerabili. Da un lato ci sono i conflitti, che impediscono di coltivare la terra ed obbligano a continui spostamenti, dall’altra ci sono i cambiamenti climatici che portano alla crescita delle zone aride e semi-aride, e alla conseguente moria di campi e piantagioni. Le nostre chiese membro in Etiopia, in Kenya, in Nigeria stanno impegnando le rispettive diaconie mentre la Federazione è impegnata a rispondere alla crisi del Sud Sudan che coinvolge anche gli stati confinanti. Lo stesso programma a Gibuti sta accogliendo i profughi in fuga da uno Yemen allo stremo. Siamo grati all’Onu per l’appello. Nel 2011 in Somalia ci si mosse tutti troppo tardi e fu una catastrofe legata alla siccità. Ora dobbiamo accelerare al massimo prima di ripetere gli errori».

Queste carestie giungono in una fase storica che vede oltre 65 milioni di sfollati nel mondo, un numero senza precedenti. Con quali strumenti la comunità internazionale può rispondere a crisi che si sommano a crisi?

«E’ vero che sono cifre mai raggiunte nella storia. Ma se nel 1945 la comunità internazionale è stata capace di far fronte a oltre 50 milioni fra rifugiati e sfollati interni, pur uscendo da un drammatico conflitto mondiale, e con le economie distrutte, perché non dovrebbe essere in grado di fare altrettanto oggi, quando nel mondo c’è così tanta ricchezza? Certo non possiamo dirci sorpresi o all’oscuro di quanto sta accadendo.

Credo che la risposta alle sfide attuali non sia una questione di capacità, ma di volontà politica. L’Uganda ha fino ad ora accolto oltre 800 mila migranti provenienti dal Sud Sudan. Nei momenti di punta, vi sono fino a 3 mila arrivi al giorno! E’ stato loro garantito l’asilo politico e un pezzo di terreno. Le comunità locali sono estremamente accoglienti, sebbene abbiano dovuto far fronte ad una vera invasione,e la situazione è sottocontrollo. Di contro si sentono paesi membri dell’Unione europea sbraitare per poche migliaia di persone da insediare nei loro confini. Le Nazioni Unite hanno sistemi e capacità per rispondere alla situazione se i finanziamenti vengono resi disponibili. I nostri uomini e le nostre donne stanno compiendo sforzi straordinari sul terreno, ma è una goccia nel mare davanti a certi numeri».

Lei crede che queste risorse siano disponibili?

«Certo che lo sono. L’esempio dell’Uganda è sotto gli occhi di tutti. La sfida di oggi non è quella di reperire risorse, ma di stabilire priorità. La Nato ha elevato al 2% la soglia che i paesi membro devono destinare alle spese per la difesa comune, Stati Uniti e Cina annunciano grandi aumenti nei budget militari. Sono queste le risposte alle crisi e ai conflitti? Credo che la priorità debba essere data all’obiettivo di portare allo 0,7% del bilancio nazionale dei singoli stati la quota da destinare al fondo pubblico di sviluppo, concordato nel 1970 con gli stati Osce, ribadito nel 2005, eppure mai onorato. Citando Michea 4,3 non posso che esortare le chiese ad alzarsi e gridare “non trasformate i vomeri in spade!”».

Quale può essre oltre questo il ruolo delle chiese?

«Mi vengono in mente le parole di Giovanni 17 che ci ricorda che noi siamo stati inviati nel mondo per testimoniare Dio. Dio ci chiede di stare con i poveri e con gli oppressi, ci chiede di adoperarci per alleviare la sofferenza umana. Noi siamo chiamati a servire le persone. Sono così incoraggiato da vedere tanti esempi di chiese capaci di rimanere salde nel loro esempio, anche quando vengono criticate o vilipese per tali scelte. In quanto chiese dobbiamo sostenere i governi e i leader politici perché stabiliscono le giuste priorità».

Immagine: via Flickr – DFID – UK Department for International Development