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1517-1817-2017, fra Riforma e risveglio

Il 1517 accompagna da alcuni mesi la vita delle chiese protestanti; essendo quella esperienza spirituale all’origine della nostra confessione è doveroso per noi prendere piena coscienza dei suoi valori fondamentali. C’è però nella storia del protestantesimo un altro movimento assai più prossimo cronologicamente e spiritualmente, quello che conosciamo come Risveglio.

Siamo a Ginevra nel 1817, gli studenti in Teologia dell’Académie, ancora calvinista di tradizione ma non per dottrina, sono in crisi da tempo, l’insegnamento dei loro docenti, frutto di una mentalità razionalista, non corrisponde al sentire della loro generazione figlia del Romanticismo: essere cristiani non è solo praticare una vita virtuosa ma vivere esperienze di rinnovamento personale.

Quando uno di loro, avendo pubblicato nel 1817 delle Considerazioni sulla divinità di Gesù Cristo, viene sconfessato dalle autorità accademiche, sarà la rottura. Ispirandosi alla Comunità dei Fratelli Moravi e alle conferenze di Robert Haldane, evangelista scozzese, fondano in un locale della città vecchia, un gruppo di studio biblico; ne farà parte Félix Neff, evangelista nel Delfinato, che visiterà le valli valdesi. La Chiesa dei loro giorni, sostengono i nostri personaggi, sopravvive ma come un corpo in letargo, ha tutto ma le manca la vita dello Spirito. Renderla consapevole di questo significa risvegliarla; di qui il termine Réveil, risveglio, dato al movimento.

Il Réveil ginevrino trova la sua forma matura nella Société Evangélique, sul tipo delle Society anglosassoni nate con finalità missionarie o assistenziali. I credenti membri dell’Oratoire si impegnano per la diffusione di una fede evangelica non settaria; la loro scuola teologica, che si contrappone all’Académie, avrà un insegnamento evangelico con docenti qualificati come Gaussen in campo dogmatico e Merle d’Aubigné in quello storico.

Il Réveil ginevrino, insieme alla Chiesa libera di Vinet nel cantone di Vaud, hanno costituito per le chiese valdesi il riferimento teologico fondamentale per tutto l’Ottocento. I pastori che al 1848 diedero vita all’opera di evangelizzazione si erano formati all’Oratoire, da Ginevra hanno importato il catechismo e l’innario, a quel Réveil si ispirarono poi i professori della scuola teologica a Firenze.

A questo punto si possono arrischiare alcune riflessioni.

Anche noi evangelici italiani ricordiamo con tutto il protestantesimo il 1517, ma non serbiamo memoria del 1817, anno della nostra nascita; forse perché i Riformatori sono i nostri patriarchi (come Abramo e Giacobbe per Israele) e gli uomini del 1817 sono i nostri nonni e gli antenati si venerano ma i padri si sconfessano? I Riformatori hanno costruito la casa ma ad arredarla sono stati i risvegliati, di cui fino all’altro ieri abbiano cantati gli inni e della cui predicazione si è nutrita la nostra fede.

Certo la Ginevra risvegliata non è la Wittenberg del 1517, le mancano gli elementi che fanno di quest’ultima la rivoluzione religiosa del mondo moderno: la drammaticità della storia e il genio teologico di Lutero. Ma i due «17», pur a livelli diversi, rappresentano le esperienze fondanti del protestantesimo moderno, la cui fede i protagonisti hanno vissuto con analoga passione. Il nostro evangelismo italiano è stato erede della Riforma e del Risveglio, dalla prima ha tratto la teologia, dal secondo il linguaggio. Questo fino a ieri.

E oggi? In un’Europa scristianizzata e in un mondo globalizzato dove sta, per la maggioranza degli individui, la chiave di comprensione del fatto cristiano? Nella giustificazione per fede del 1517 o nel risveglio dello Spirito del 1817? I sociologi ci ricordano che per la maggioranza dei cristiani evangelici nel mondo la fede è vissuta nelle forme del Revival e lo sarà ancor più domani. Volendo che le nostre celebrazioni del 1517 siano più che un incontro di reduci occorre dunque fare i conti con quel 1817.