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Un missionario inglese nella terra dove comandano le donne

Venerdì 17 marzo: undicesimo giorno della sessione di bilancio per l’assemblea legislativa dello stato di Meghalaya, letteralmente “dimora delle nuvole”, India nord-orientale, riunita nella capitale Shillong.

Si discute di temi importanti, dall’aumento eccessivo delle bollette elettriche al gettito fiscale delle accise, alla gestione delle autostrade. Ma tra i temi in discussione c’è anche il riconoscimento ufficiale del reverendo Thomas Jones quale padre dell’alfabeto khasi, la popolazione che vive tra vari Stati dell’India, la maggior parte nel Meghalaya.

Il ministro dell’arte e della cultura Ronnie V Lyngdoh informa che il governo deve ancora pronunciarsi ufficialmente, ma per fare ciò, per essere certi che non nascano discussioni in merito, è necessario sentire il parere di studiosi, esperti in materia e degli organi ecclesiastici. L’assemblea esorta quindi il governo ad accelerare i tempi…

Ma chi è Thomas Jones? Un pastore metodista inglese, o meglio gallese, che nel 1840, trentenne, si trasferisce in India con la moglie e dopo un breve periodo a Calcutta si reca sulle alture della regione di Meghalaya con l’obiettivo di convertire al cristianesimo la popolazione Khasi. Non è il primo missionario a tentare l’impresa, ma lui, contrariamente ai suoi predecessori, ha successo. Grazie all’abilità nel mestiere di carpentiere, ereditata dal padre, riesce a conquistare l’ammirazione della popolazione, cui insegna alcune tecniche edilizie, imparandone in cambio la lingua con una stupefacente dimestichezza. Comincia a predicare il Vangelo in lingua khasi, apre una scuola e e nel 1842 traduce Rhodd Mam, un’opera gallese, in khasi. Si tratta del primo libro scritto in questa lingua, cui seguono un dizionario, scritto trasponendo in alfabeto latino la lingua della popolazione della “dimora delle nuvole”, e le prime trascrizioni di una cultura orale di tipo sciamanico, legata ai mantra guaritori.

L’influenza di questo missionario-falegname, morto di malaria a trentanove anni, si ritrova anche nell’inno nazionale dei Khasi, che segue la melodia di quello del Galles.

Sebbene l’85% dei Khasi siano oggi cristiani, la religione tradizionale animista rimane ancora presente, nutrita dal culto degli antenati, da sciamani che si trasformano in tigri, con riti nelle foreste sacre di cui è ricca la regione.

E c’è un’altra caratteristica che rende questa popolazione speciale: sono una delle poche società matrilineari esistenti al mondo (una trentina), dove l’erede universale è l’ultima figlia femmina, e chi non ne ha ne adotta una. Il cognome tramandato è quello materno, e le responsabilità di capofamiglia (oltre al compito di “portare a casa la pagnotta”) ricadono sulle donne e non sugli uomini. Vantaggi e svantaggi, qui come altrove dove la situazione è generalmente capovolta.

Per gli uomini Khasi infatti non è facile vivere questa situazione, soprattutto oggi con l’industria cinematografica di Bollywood a due passi e l’arrivo della televisione nelle case, che li bombarda con stereotipi machisti e modelli molto lontani dalla loro cultura tradizionale. Risultato? Aumentano le violenze domestiche e i problemi di alcolismo. Chissà che cosa avrebbe fatto Thomas Jones per risolvere la situazione…

Immagine: By Bogman – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17152165