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Un ricordo, laico, di Febe Cavazzutti

Un anno fa, nella notte del 2 febbraio 2016, una carissima amica, Febe Cavazzutti Rossi, se ne è andata lasciandomi più solo in questa valle di lacrime. Predicatrice locale, aveva trascorso gran parte della sua vita a Padova. Una presenza costante nella chiesa metodista di questa città, come organista e predicatrice, e una testimonianza immensa di fede, serenità e forza d’animo.

Febe era nata nel 1931 a Vicenza (dove in seguito tornerà come insegnante di inglese) e aveva trascorso parte degli anni giovanili a Firenze. In questa città suo padre, il pastore metodista Gaspare Cavazzutti (già collaboratore di Henry James Piggot) si distinse per aver salvato molti cittadini di religione ebraica negli anni delle persecuzioni nazi-fasciste.

Di quel periodo buio Febe ricordava con particolare amarezza la tragica fine di due ragazze sue amiche, nipoti di un cugino di Einstein, destinate a essere trucidate, insieme alla zia, per mano dei soldati tedeschi (soldati, non SS). Un tragico evento che determinò la morte anche dello zio, suicidatosi per disperazione. Venne poi raccontato nel film “Il cielo cade” ma in maniera edulcorata (non vi si accenna allo stupro subito dalle donne in mano ai tedeschi) .

In anni più recenti la lezione paterna si tradusse in un attivo sostegno alle lotta dei Neri del Sudafrica sottoposti al tallone di un nuovo nazismo, quello dell’apartheid. A causa di un incidente stradale (per una gomma scoppiata in autostrada tra Vicenza e Padova), era costretta a muoversi con una carrozzella. Tuttavia Febe non aveva esitato ed era partita per il Sudafrica partecipando a molte iniziative antiapartheid. Il suo impegno fu totale, al punto che il regime la espulse dal Paese.

Chiunque abbia contribuito alle campagne degli anni Ottanta contro il regime razzista di Pretoria deve averla sicuramente conosciuta. La rivedo all’Arena di Verona in occasione dell’incontro del 30 maggio 1987 “Sudafrica e noi: strappare le radici dell’ingiustizia”. Di quel giorno ricordo anche tanti altri amici presenti in Arena per ribadire un secco NO a Botha, alle fabbriche di armi (molte italiane) che rifornivano il regime di Pretoria (inevitabile pensare a quanto avviene oggi con la Turchia che con le armi di Finmeccanica sta massacrando i curdi), alle banche (ancora quelle italiane) che lo finanziavano.

Alcuni di loro purtroppo nel frattempo ci hanno lasciato, come Benny Nato (rappresentante dell’African National Congress in Italia), Beyers Naudé (Segretario generale del Consiglio Sudafricano delle Chiese e, in quanto boero, chiamato “il grande traditore” dai suoi connazionali bianchi), Davide Maria Turoldo

Tra quelli ancora sulla breccia, Alessandro Zanotelli (ex direttore di Nigrizia, per molti anni in Kenia), il vicentino Mario Costalunga (entrambi tra i fondatori dei Costruttori di Pace), il comboniano Efrem Tresoldi che in seguito si trasferì definitivamente in Sudafrica…

E mi auguro, anche se non ne ho più avuto notizie, goda almeno di discreta salute il reverendo T. F. Farisani (Vescovo vicario delle Chiese Evangeliche Luterane del Sudafrica) che fu vittima della tortura come si intuiva vedendolo muoversi, comunque indomito, sul palco dell’Arena.

Devo dire che a un anno di distanza Febe mi manca molto. Mi mancano i suoi consigli, le sue rassicurazioni. Ricordo come si prodigò (fornendo contatti, indirizzi, indicazioni…) quando mia figlia decise di andare in Sudafrica per verificare “se ne era valsa davvero la pena” (si riferiva a tutti i fine settimana in cui, da piccina, era costretta a partecipare alle nostre iniziative anti-apartheid) per incontrare i “Sharpeville Six”.

Talvolta le inviavo qualche mio articolo che “riveduto e corretto” (e ridimensionato) dalla sua acuta intelligenza, veniva ospitato da «Riforma», il settimanale in lingua italiana delle Chiese evangeliche, battiste, metodiste e valdesi. Gli ultimi due che aveva letto e commentato, favorevolmente, sono stati un ricordo di Theresa Machabane Ramashamole, morta nel novembre 2015 (l’unica donna dei Sei di Sharpeville, un gruppo di militanti neri condannati a morte per impiccagione e salvati all’ultimo minuto) e un articolo sulla Resistenza dei curdi a Kobane. Devo dire che ci eravamo ritrovati in sintonia nel considerare la lotta dei curdi come analoga a quella dei movimenti antiapartheid del passato. In particolare si mostrava molto interessata e solidale con le donne curde e con il loro protagonismo.

Nel 2004 l’avevo intervistata prendendo spunto da un suo articolo su «Riforma» (“Dieci anni di democrazia in Sudafrica”) dove, con la consueta chiarezza, analizzava il voto del 14 aprile 2004.

Febe era convinta che già nel 1994 il Sudafrica avesse realizzato “ l’evento più straordinario della sua lunga e sofferta storia”: le elezioni a suffragio universale “aprendo a quei suoi abitanti che fino ad allora non erano che lo scarto umano privo di diritti”.

Sottolineava come nel 2004 tutto si fosse svolto ordinatamente con un’affluenza del 95% su un totale di 20 milioni e 674.926 elettori. Tre giorni dopo Pansy Tlakula (Chief Electoral Officer) poteva già dare i risultati: “Con umiltà sto davanti per dichiarare con orgoglio che abbiamo raggiunto gli obiettivi prefissi. Abbiamo avuto una campagna elettorale forte, in cui i partiti non hanno sfoggiato i meriti della vittoria sull’apartheid, ma hanno affrontato i problemi del nostro paese. La nostra gente ha esercitato la pazienza e un profondo rispetto per questo atto di libertà”.

Nelle elezioni del 2004 l’ANC, il partito di Nelson Mandela, aveva guadagnato il 69% dei voti, con grande distacco dal secondo partito il Democratic Alliance (DA, 13%). Febe mi raccontò che il presidente del DA, Joe Serename, aveva lavorato lungamente con il South African Council of Churches negli anni bui del razzismo istituzionalizzato, pagando anche un prezzo altissimo a livello personale: l’assassinio di un fratello e di altri familiari da parte delle squadre della morte segregazioniste. Disastrosi invece erano stati i risultati del National Party (“che -spiegava Febe – ha praticato l’apartheid con la frusta in una mano e la Bibbia nell’altra”) ridotto in quella occasione soltanto all’1,7%.

Vorrei quindi onorare questa persona che per tutta la vita si è impegnata al fianco degli oppressi.

Ricordando che l’ingiustizia, lo sfruttamento e l’oppressione “non scompaiano magicamente con la fine di un regime” ma si riproducono sotto altre spoglie. Per cui, diceva “occorre sempre vigilare”. Anche questo è stato l’insegnamento di Febe per chi ha avuto l’onore di conoscerla.