bonhoeffer

Libertà, a lungo ti cercammo

Ha ventotto anni Emanuela Tangari, la dottoranda dell’Università Tor Vergata di Roma che insieme a una decina di studenti del corso di laurea in Filosofia ha voluto, ideato e curato un’insolita mostra dedicata al teologo luterano Dietrich Bonhoeffer. Venti pannelli in tutto: rossi per il quadro storico, arancioni per il pensiero teologico, blu per quello filosofico e rosa per la biografia. Nulla di più. In primo piano, sempre e comunque, l’autore. O forse l’opera. O meglio ancora il pensiero. Insomma, Bonhoeffer. Il teologo della libertà e della responsabilità. Della resistenza e dell’amicizia. Parole che ricorrono nel titolo dell’iniziativa: «Libertà, a lungo ti cercammo. Dietrich Bonhoeffer, resistenza e amicizia». Inaugurata il 20 febbraio, la mostra doveva chiudere la settimana scorsa, ma il successo di pubblico l’ha tenuta aperta fino a ieri. Ne parliamo con la curatrice, che in questi giorni ha accompagnato decine di studenti e visitatori nell’esperienza a lei accaduta anni fa: il primo incontro con un uomo che non si dimentica.

Come vi è venuta in mente, oggi, adesso, qui a Roma, una mostra su un pastore luterano?

«Qualche anno fa con un gruppo di studenti di filosofia dell’Università di Tor Vergata portammo qui una mostra su Pavel Florenskij, scienziato e filosofo russo morto martire in un gulag sovietico. Fu un’esperienza d’incontro e di studio molto significativa. A seguito di quest’evento, devo dire molto riuscito, avevamo il desiderio di rivivere un’esperienza simile, di offrire qualcosa a tutti proprio nel luogo dove ci troviamo ogni giorno; l’occasione si è presentata dopo un corso del professor Giovanni Salmeri, grazie al quale alcuni di noi hanno conosciuto la figura di Bonhoeffer, in particolare l’opera Resistenza e resa. Sono incontri che non si dimenticano, dai quali è naturale che nasca qualcosa d’altro».

Una mostra molto difficile. Su un personaggio in Italia poco conosciuto e molto complesso.

«Abbiamo imparato che costruire una mostra è qualcosa di veramente arduo, non si può sintetizzare in venti pannelli l’opera di un pensatore del genere. Probabilmente ricostruire Bonhoeffer è impossibile. Il nostro obiettivo era introdurlo, lasciare ai visitatori il desiderio di cominciare a conoscerlo, a leggerlo. Motivo per cui abbiamo ridotto al minimo le nostre considerazioni e abbiamo fatto parlare l’autore. Un autore in cui idee ed esperienza sono sempre profondamente unite, declinate nella sua vicenda biografica e narrativa. Chi è venuto qui non ha appreso solamente che un pastore della chiesa confessante tedesca ricavò dalla propria fede la lucidità e la forza per opporsi al nazismo. Credo e spero che chi i nostri visitatori abbiano lasciato la mostra con il desiderio di cominciare a leggere questo pensatore».

Chi era secondo voi Bonhoeffer? Che idea vi siete fatti?

«Domanda difficile. Forse la cosa più vera che posso dire è che è stato un vero uomo. Un vero intellettuale e un vero uomo. Un uomo che dentro il periodo storico in cui ha vissuto ha avuto a cuore la cultura vera, vale a dire l’incontro, la possibilità di dialogo con le persone e con la realtà. Che non ha tradito ciò in cui credeva: la coincidenza tra pensiero e azione, tra libertà e responsabilità. Che non ha tradito la sua possibilità di incidere nella realtà. Oggi si tende a vedere come contrapposti la dimensione del quotidiano e la dimensione del trascendente. Bonhoeffer rende evidente che questa visione è limitante: la sua fede si scopre e si colloca sempre “aldiqua”, nella vita e nel mondo».

Di fronte a una figura di simili proporzioni, c’è il rischio di una “deificazione” del proprio oggetto di studio? È facile credere che proprio Bonhoeffer si sarebbe ribellato a questo.

«Il rischio c’è, ma — scherzando un po’ — direi che non è poi così cattivo! Deificare Bonhoeffer presuppone averlo conosciuto, studiato, apprezzato e amato, e questo sarebbe un bel passo avanti! Certo, la passione rischia sempre di idealizzare, tanto più quando si ha a che fare con figure così suggestive. Ma la lettura di Bonhoeffer è una lettura radicale: ti richiama continuamente all’onestà, senza mezze misure, alla necessità di andare a fondo. Allora questo rischio non è poi così preoccupante».

Visto il successo riscosso nella capitale, già si parla di una vostra esposizione nelle Valli valdesi, probabilmente quest’estate. Siete disponibili?

«Più che disponibili. Siamo curiosi e contenti di poter incontrare chi di Bonhoeffer si occupa da ben prima di noi».