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La Slovenia celebra le sue prime unioni civili

Sabato 25 febbraio è caduto un tabù: in Slovenia si è celebrata la prima unione civile tra persone dello stesso sesso in un Paese ex comunista. Pur non potendo parlare di un matrimonio a tutti gli effetti, si tratta di un momento fondamentale nella costruzione di una società inclusiva, paritaria e nella quale si garantiscono diritti che sarebbe bello poter dare per scontati.

La legge è entrata in vigore il giorno prima, venerdì 24, e con un gesto di grande valore simbolico ventiquattro ore dopo una coppia di donne ha celebrato a Maribor, nel nord del Paese, la propria unione.

Secondo Stefano Lusa, caporedattore del programma informativo di Radio Capodistria, emittente slovena di lingua italiana, «è stato un percorso veramente travagliato».

Da dove si è partiti?

«La questione dei diritti delle coppie lgbt in Slovenia viene affrontata ormai dagli anni Ottanta: la Slovenia è stato il primo paese comunista a tollerare l’omosessualità anche in forma dichiarata. Già trent’anni fa a Lubiana c’erano circoli gay e lesbo, una cosa impensabile nel resto dell’ex Jugoslavia. Allora sembrava che i diritti della comunità lgbt fossero un qualcosa di assodato, di assolutamente naturale».

E poi cos’è successo?

«Nel suo processo d’indipendenza la Slovenia si è persa in tutt’altre faccende e la questione dei diritti delle coppie dello stesso sesso è rimasta in secondo piano. Si è poi ricominciato a parlarne nel 1995, quando per la prima volta è stato chiesto alla politica che queste coppie avessero gli stessi diritti degli altri, ma si è dovuto attendere. La prima legge arriva nel 2005, ma parliamo di una sorta di unione civile, dei Pacs con pochissimi diritti, voluta dal governo di centrodestra.

Gli attivisti dei diritti per le coppie omosessuali all’epoca dissero “è meglio di niente, perché in qualche modo sancisce almeno che esistiamo”, ma la legge era carente in moltissimi aspetti. Da lì in poi si è creato un lungo dibattito che ha portato alla bocciatura al referendum di due modifiche del codice di famiglia che avrebbero equiparato le coppie lgbt alle altre. Nella prima, quella del 2011, l’unica differenza è che si potevano adottare soltanto i figli biologici del partner, nel 2015 invece non c’era nessuna differenza tra i vari tipi di unione».

Che cosa non ha funzionato a quel punto?

«La legge era evidentemente troppo per una coalizione che faceva molto riferimento anche all’aiuto della chiesa cattolica, quindi i partiti di centrodestra promossero un referendum che la Corte costituzionale approvò e consentì nonostante i molti dubbi espressi da chi invece lottava per i diritti civili, che sosteneva che non si potessero mettere a referendum i diritti delle minoranze. Proprio all’indomani di quella bocciatura, nel dicembre del 2015, un deputato del centrosinistra portò in Parlamento questa proposta di legge che è stata approvata ed è entrata in vigore e ha subito prodotto il primo matrimonio».

Com’è stata accolta questa legge dagli attivisti lgbt?

«Sono contenti, perché intanto risolve la gran parte dei loro problemi: c’è la pensione di reversibilità, c’è la possibilità di assenza per malattie, l’assicurazione sociale, per cui ci si può assicurare attraverso il proprio partner. Insomma, si risolve tutta una serie di problemi pratici. Tuttavia, non si affrontano due questioni importanti anche sul piano simbolico, come quella dell’adozione dei bimbi e della fecondazione assistita. Nelle associazioni lgbt si dice però che ci si arriverà e lo si farà anche presto utilizzando quelli che sono gli strumenti giuridici che in qualche modo ci sono a disposizione e che vigono all’interno dell’Unione europea. Si tratta in sintesi di una lunga battaglia non ancora conclusa per la piena uguaglianza dei diritti. Bisogna dire che la Slovenia nell’est Europa è stata sempre all’avanguardia in fatto di tutela delle coppie lgbt, ma tutto sommato è arrivata molto tardi a questo punto, soprattutto se ripensiamo a quegli anni Ottanta dove proprio i diritti di queste coppie e l’accettazione dell’omosessualità almeno da queste parti erano una cosa scontata, cosa che non avveniva ad esempio pochi chilometri più in là o in altre repubbliche della Jugoslavia, dove l’omosessualità era perseguita per legge per non parlare degli altri paesi comunisti, in particolare del blocco sovietico».

Questo risultato ci dice che il dibattito in Slovenia è più vivo e più fruttuoso anche rispetto a quello che si incontra attraversando il confine con Trieste?

«Ecco, sabato a Trieste si celebrerà la prima unione civile di una coppia omosessuale nella sala matrimoni del comune. Ecco, questo evento è stato accompagnato da una lunga polemica anche dai toni molto sgradevoli e alcuni consiglieri comunali del centrodestra, in particolare uno della Lega Nord, hanno usato toni molto sprezzanti. Alla fine questa coppia, che ha condotto la battaglia per poter celebrare in maniera festosa la propria unione, ha vinto e sabato ci sarà questa prima celebrazione nella bella cornice di piazza Unità d’Italia, nel comune di Trieste. Qualcosa forse si sta muovendo e sta andando verso la strada che è tracciata in gran parte d’Europa».

Ci sono però Paesi vicini alla Slovenia, e penso in particolare all’Ungheria e alla Croazia, che si sono ripiegati su un neo-conservatorismo molto forte e molto pesante. Come viene vista questa legge da quei Paesi?

«Tutto l’est Europa, soprattutto dalla crisi dei migranti in poi, vive una fase di riflessione, di introiezione in se stessi e anche un chiudersi verso un nazionalismo e un conservatorismo da cui nemmeno la Slovenia è immune. Forse il muro di Berlino non è mai stato così alto come oggi dalla sua caduta in qua, tra est e ovest, tra un’idea di una società multiculturale con una serie di valori, pronta ad accettare la diversità e chi invece porta avanti a spada tratta campagne elettorali e politiche centrate sulla tutela dell’identità e dei valori tradizionali, insomma chi vuole tornare a essere antemurale Christianitatis, baluardo proprio dei valori più tradizionali e più di chiusura che quindi mal tollerano queste aperture».

Il processo di “orbanizzazione” dell’est Europa è ormai compiuto?

«Orbán è sicuramente un esempio a cui molti nell’est Europa guardano con più simpatia di quanto si crede. Il gruppo di Visegrád è allineato più o meno a queste politiche, a un revival nazionalista che ha preso piede sicuramente anche in Polonia, con polemiche anche becere. Insomma, siamo in un momento di riflusso e di revival nazionale nell’est, vedremo dove ci porterà in un’Europa che si sta interrogando anche a occidente: se pensiamo che Marine Le Pen avrà un ottimo successo elettorale e che in Olanda i nazionalisti probabilmente otterranno grandi risultati, a questo punto ci rendiamo conto che quell’Europa con quei valori che conoscevamo noi è messa seriamente in discussione».

Immagine: via Pexels