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La chiesa non è «della città», ma è «nella città»

Al mio arrivo a Schenectady, all’interno del progetto Effee, devo essere sembrato parecchio frastornato. Le persone avranno pensato che la causa fossero il viaggio e il fuso orario. Invece, era l’America a confondermi e stranirmi. Troppo grande, troppo spaziosa: troppa in ogni senso. Anche le dimensioni della chiesa, la First Reformed Church (Frc), di origini olandesi, hanno contribuito ulteriormente a spaesarmi: sia come luogo di culto sia come comunità. In seguito, ho chiarito che a stupirmi non erano tanto i numeri (perché chiese grandi ce ne sono anche in Italia), quanto l’attivismo delle persone. Diversi membri della comunità non hanno aspettato il suggerimento del pastore titolare Bill Levering, né quello dei suoi collaboratori, per consigliarmi conferenze, portarmi a manifestazioni o farmi conoscere altre denominazioni. Come in un’orchestra, ognuno conosce la propria parte e la esegue in sintonia con gli altri. I pastori non sono i direttori, ma i «primi violini» che danno l’attacco e fanno musica assieme a noi. Questa alternanza di soli e tutti crea allo stesso tempo uniformità e diversità, arricchendo l’esecuzione.

I pastori hanno momenti di comunione in cui confidarsi, confrontarsi e incoraggiarsi reciprocamente. Non costituiscono una gerarchia, ma un gruppo di lavoro affiatato che si misura e consiglia con gli Anziani e stimola, ed è stimolato, dalla comunità tutta. Ogni settimana si tengono incontri fra i responsabili delle varie attività, durante le quali si aggiornano e consultano reciprocamente. Queste riunioni sono aperte: nessuno ha la verità in tasca e ognuno si sente libero di proporre, chiedere e discutere. Può trattarsi di questioni pratiche, come decidere le regole che guidino il redattore a sapere quali annunci mettere sulla circolare di chiesa; oppure può trattarsi di decidere che linguaggio utilizzare verso l’esterno, per far comprendere che la comunità è inclusiva senza dare l’idea, senza volerlo, di privilegiare alcune persone in particolare. Perché la comunità è davvero aperta a tutti.

Tante associazioni e tanti gruppi, che non hanno nulla a che fare con la Frc, e probabilmente non la frequenteranno mai, si ritrovano nei locali della chiesa. In questo modo, la cittadinanza impara a conoscerla, con il tempo si stringono amicizie e a volte succede pure che qualcuno inizi a farsi vedere al culto. La Frc non è della città: molte delle scelte etiche, per esempio, non sono condivise dal resto della cittadinanza ma, tuttavia, è nella città. E così, per il semplice fatto di esserci, possono dare una testimonianza, indicare una possibilità e, magari, aprire una via.

Certo a chi scrive, abituato com’è a non essere riconosciuto e a dover sempre giustificare la presenza e la storia della sua chiesa davanti ad autorità e persone comuni, tutto questo è apparso come un sogno. Non lo è, ma è il risultato di una fede viva, vissuta in prima persona, attiva. Qui a Schenectady non si limitano a «fare» come i loro padri ma, guidati dal medesimo Spirito, mentre camminano incontro allo stesso Signore, si sforzano di individuare soluzioni nuove ai problemi di oggi: procreazione medicalmente assistita, eutanasia, violenza di genere, immigrazione, un Presidente «scomodo»…: c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ma a loro – sono americani, no? – piacciono le porzioni abbondanti: e quindi scelgono tutto!

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