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Il carcere e il suicidio ai tempi delle Rems

Venerdì un ragazzo di 22 anni si è tolto la vita in carcere, impiccandosi a una grata del Regina Coeli di Roma. Il ragazzo era stato preso in custodia nel Rems di Ceccano, dal quale era fuggito due volte. I Rems sono strutture di assistenza per detenuti con problemi psichici che in qualche modo hanno preso il posto degli ospedali psichiatrici giudiziari. Il ministro della Giustizia Orlando ha chiesto un ispezione per appurare che sia stata applicata la direttiva sulla prevenzione dei suicidi: «in generale non credo alla prevenzione materiale, perché se una persona vuole uccidersi trova il modo di farlo – dice Susanna Marietti, presidente dell’associazione Antigone – ma non è quello il punto. Piuttosto bisognerebbe togliere alle persone in carcere la voglia di uccidersi».

Questa vicenda torna a mettere in luce le carenze del passaggio dagli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) alle nuove strutture, le residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria, i Rems.

«Sì, il ragazzo aveva un’incompatibilità con il carcere dichiarata da parte del magistrato in passato, e varie volte aveva avuto la misura di sicurezza in Rems, dalle quali si era allontanato. La terza volta è stato mandato in carcere, in custodia cautelare, e un altro magistrato ha fatto una perizia psichiatrica, che ha confermato che non doveva stare in carcere: a quel punto doveva essere trasferito in una Rems. Ma la transizione procede con fatica, queste strutture hanno risposto che non c’era posto e lui è rimasto in carcere per molti altri giorni, che gli sono stati fatali».

In che punto ci siamo bloccati con la riforma del sistema dell’esecuzione per le persone che andavano negli Opg?

«Per ora i posti nelle Rems sono pochi, ma in realtà noi vorremmo che non ne servissero molti: la collocazione in queste strutture deve essere davvero residuale, limitata a quelle persone che sono per davvero socialmente pericolose e non possono essere lasciate libere per il pericolo alla collettività. Devono essere prese in carico in maniera seria dal servizio sanitario nazionale e non devono starci tanto, altrimenti abbiamo chiuso gli Opg e ne abbiamo in qualche modo mantenuto lo spirito culturale per cui vorremmo mandarci un po’ chiunque non sappiamo dove mettere solo perché ha un disagio».

Di questo avete avuto modo di discutere con il ministro della giustizia Orlando?

«Sì, abbiamo interloquito con il ministro anche con le nostre proposte al disegno di legge, che se mai venisse approvato delegherebbe il governo a riformare l’ordinamento penitenziario. Insieme a StopOpg abbiamo l’andamento di questa riforma, che va avanti da diversi anni attraverso proroghe e discussioni. Il percorso prosegue ma, come la cronaca ci dimostra, ha ancora tanta strada davanti a sé».

Allargando lo sguardo, c’è una passo che si può compiere prima della fine della legislatura?

«Realisticamente bisognerebbe stralciare l’articolo 31 che riguarda la riforma dell’ordinamento penale, un solo articolo di un disegno di legge ciclopico che contiene la riforma della prescrizione, la riforma delle intercettazioni e altri temi sensibili alla magistratura, e che quindi va a rilento. Un unico articolo che delega a riscrivere un nuovo ordinamento penitenziario, considerato che quello che abbiamo è del 1975, periodo in cui il carcere era completamente diverso. Dobbiamo ripensare la legge: se mandassimo avanti la discussione su quell’articolo riusciremmo a non sprecare il lavoro che è stato fatto durante gli Stati generali dell’esecuzione penale, a cui abbiamo partecipato, che voleva appunto guardare a questa riforma».

Immagine: via Pixabay