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Bocciata (ancora) la distruzione di una moschea in Francia

La corte d’appello di Aix-En-Provence, nel sud della Francia, ha esaminato nei giorni scorsi il dossier relativo alla controversa questione della moschea di Fréjus, comune di 50 mila abitanti in Costa Azzurra, al centro di un braccio di ferro fra la locale comunità musulmana e il sindaco della cittadina, il trentenne David Rachline, astro nascente della politica nazionale, più giovane senatore mai eletto al parlamento francese, uomo forte del Front National di Marine Le Pen, cui è uno dei consiglieri più prossimi.

Si tratta dell’ennesimo atto di una vicenda che è a suo modo simbolica delle diverse concezioni di convivenza e tolleranza, religiosa e sociale, che caratterizzano il dibattito non solo in Francia, nazione alla vigilia delle elezioni e profondamente scossa dagli attacchi terroristici in serie patiti in questi anni, ma un pò ovunque in Europa (si pensi all’Italia e alle leggi regionali cosiddette “antimoschee”).

Quest’ultimo roud, come i precedenti a dire il vero, si è concluso a favore della comunità islamica: i pubblici ministeri in rappresentanza dell’avvocatura dello stato hanno fatto sapere di non prendere in considerazione al momento l’abbattimento dell’edificio, ed hanno chiesto un supplemento di informazioni ad un tecnico incaricato di valutare le possibilità di regolarizzazione dello stabile secondo i dettami del piano di prevenzione dal rischio inondazioni vigente.

Perché tutto nasce proprio da questioni legate ai permessi di costruzione, in un’area considerata potenzialmente esondabile (non certo isolata, ma circondata da condomini e scuole); la moschea avrebbe dimensioni fuori norma: da qui la rischiesta di demolizione avanzata dal primo cittadino già dal 2014, all’indomani della sua vittoria elettorale.

Era stato il suo predecessore, Élie Brun, a concedere nel 2011 le licenze necessarie all’associazione El Fath, che si è fatta promotrice della costruzione, avvenuta con fianziamenti privati. Al momento a pagare è stato l’ex sindaco, condannato giusto un anno fa a 18 mesi e a un’ammenda di cento mila euro per concessioni fraudolente di permessi di costruire. Multata anche El Fath (settanta mila euro), ma i giudici non riconobbero un dolo volontario, quanto piuttosto una sequela di errori burocratici e manovre elettorali, salvando in sostanza già allora la moschea dalle ruspe. Decisione che fece infuriare Rachline che giudicò troppo lassista la sentenza, utilizzando gli stessi termini che torna a pronunciare oggi per questo nuovo passaggio giudiziario.

Il municipio di Fréjus insiste nell’affermare che la situazione del sito in cui sorge la moschea non è sanabile nè regolarizzabile: all’esperto incaricato dai giudici il compito di dire se sia proprio così . Conscio che un parere ina una direzione o in un’altra verrà comunque letta come parere politico e in tal senso strumentalizzato. Le attuali dimensioni e l’attuale capienza dovrebbero però garantire il salvataggio, fatto salvo per l’appunto non trasgredire sugli accessi (1500 metri quadri calpestabili, capienza di 700 persone).

I giudici di Aix-En-Provence non hanno risparmiato critiche a Brun, nel frattempo ritiratosi dalla vita pubblica anche a causa di altre vicende giudiziarie, reo secondo la sentenza di aver avviato una connivenza con l’associazione El Fath a soli fini di tornaconto personale in vista delle elezioni, forzando le procedure per costruire il luogo di culto nel bel mezzo del quartiere arabo, ma dove non si sarebbe proprio dovuto farlo.

La vicenda in questi anni ha assunto toni da campagna elettorale permanente, soprattutto per volontà dell’attuale sindaco, che ha fatto della distruzione dell’edificio uno dei punti del proprio programma. Sindaco che a sua volta è stato al centro di un’indagine legata al rifiuto di autorizzare l’apertura della moschea negli ultimi mesi del 2015. Allora il prefetto aveva dovuto sostituirsi a lui nel concedere le autorizzazioni all’ingresso.

La questione delle migrazioni e del rischio terrorismo sarà al centro dei discorsi dei candidati presidenti, e saranno soprattutto Marine Le Pen e i suoi accoliti a cavalcare le paure di parte della popolazione transalpina. Ma le città francesi sono zeppe non di stranieri, ma di cittadini francesi da generazioni, di religione musulmana; fede che non è sempre certo semplice professare, in un clima di generale sospetto che circonda la comunità islamica. E’ questo il vero nodo non risolto dalla società francese: un’accoglienza, una fusione di popoli e razze che è avvenuta soprattutto sulla carta, relegando in realtà ad una vita di periferia tutti i figli, nipoti e oramai pronipoti del processo coloniale.

Chiunque sia il prossimo inquilino dell’Eliseo dovrà certamente affrontare il tema, il problema sarà il come. Mentre le periferie bruciano di rabbia di indignazione.