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Diritti, il frutto di un impegno senza fine

«17 febbraio: falò della libertà, per i diritti di tutti». Prendo a prestito il titolo dell’iniziativa pensata a Torino dalla Chiesa valdese insieme alla Comunità ebraica, per ricordare e celebrare la concessione delle patenti di libertà, cioè del diritto di esistere come cittadini del Regno Sabaudo nel 1848. Il 17 febbraio per i valdesi, il 29 marzo per gli ebrei. In un mese e mezzo due minuscole minoranze che vivevano nei ghetti senza diritti e senza libertà ottennero che i loro membri fossero cittadini di diritto. Festa della libertà e dei diritti per tutti. Sono 169 anni che i valdesi festeggiano ogni anno, riconoscenti al Signore, dove si può accendendo falò, ovunque raccogliendosi per il culto di lode, e dovunque si incontrano non parlano solo di loro ma dei diritti e della libertà di chi non li ha ancora, o non li ha a pieno, o li ha persi.

Le chiesa valdesi con quelle metodiste e gli altri evangelici festeggiano, sapendo che la libertà e i diritti non sono mai un regalo, ma sempre il frutto di un grande impegno, di anni di vigilanza, di pressioni e trattative, di una fiducia che non demorde, non si accontenta, non tace. Non ricordiamo solo il passato, ma guardiamo al presente e al futuro di questo paese, dell’Europa, del mondo. E, quasi ovunque, non festeggiamo da soli, ma insieme a quanti e quante, nella società civile, condividono questa passione per la libertà e per i diritti di tutti. Altre chiese cristiane, ma anche, come nella mia città, associazioni laiche impegnate per i diritti di tutti, dei profughi che chiedono asilo in Italia e sempre più spesso se lo vedono rifiutare, di coloro che difendono il diritto di scegliere una morte dignitosa, delle tante persone ancora negate nella loro identità di genere, delle donne, dei bambini. Ce ne è ancora bisogno? È ancora necessario, nel nostro tempo, festeggiare la libertà? C’è ancora bisogno di dire con tutta la forza e l’intelligenza che abbiamo che sulla libertà e sui diritti si deve vigilare, che niente è acquisito una volta per tutte?

Si, ce ne è ancora bisogno, più bisogno che mai. Non possiamo e non vogliamo accontentarci della nostra libertà senza patire, lavorare e pregare per le libertà e i diritti degli altri. Ogni tanto lo perdiamo di vista, ogni tanto i privilegi che abbiamo ci fanno dimenticare o minimizzare la sofferenza delle persone che intorno a noi non possono contare sul fatto che avere dei diritti li rende uomini e donne libere e non averli li lascia tremanti nella disumanità. Non penso soltanto ai profughi, anche se in loro e nei loro racconti, abbiamo la misura di cosa vuol dire aver perso tutto, casa, lavoro, beni, posizione sociale (ho conosciuto insegnanti, artigiani, artisti, padri e madri di famiglie agiate che oggi vivono l’estraneazione e l’umiliazione) e che, nonostante tutto, hanno ancora speranza, perché sono vivi.

Ma penso anche, tanto, a persone non lontane da me, cittadini e cittadine italiani che, per la crisi economica di questi lunghi anni, la cui stretta non accenna a mollare, ma forse anche per la loro debolezza, per l’instabilità della loro vita, per i guai in cui sono incappati, oggi vivono di niente, non possono far crescere i loro figli e le loro figlie con allegria e curiosità, non hanno uno stipendio, non avranno mai una pensione. E il male di vivere li divora.

In quest’anno del giubileo della Riforma leggiamo e rileggiamo le fonti. Ma a che ci servono se nella nostra testa non scatta quel clic che ti porta a guardarti dentro, a rileggere la tua storia e la tua vita, la vita della tua chiesa e dei suoi membri? Leggiamo e citiamo Lutero: «Un cristiano è un libero signore sopra ogni cosa e non è sottoposto a nessuno. Un cristiano è un servo volonteroso in ogni cosa e sottoposto a ognuno». Liberi, signori e signore: uomini e donne che sanno che la libertà è il bene più grande e che la vera libertà è quella che ci ha dato Dio in Gesù. Lo sappiamo e lo sperimentiamo perfino, nei rari momenti in cui ci è donata la fede. Ma quando e dove ci mettiamo in gioco noi, io, con la nostra pazienza, con il nostro tempo e mettendo in discussione l’ordine della nostra vita? Quando e dove ci mettiamo in prima persona al servizio del nostro prossimo, senza rimandare a domani, e senza pensare subito alla nostra diaconia o all’8 per mille? Possiamo imparare quella meravigliosa ginnastica spirituale che ci ha insegnato Lutero che nella libertà «per fede ci fa salire in alto, al di sopra di sé in Dio, e poi da Dio ci consente di scendere al di sotto di sé per amore».

Proviamo a pensarci in questa festa della libertà di cui andiamo giustamente orgogliose, di cui siamo fieri. Festeggiamo e ricordiamo che la libertà si può perdere e il diritto può essere calpestato. E guardiamoci intorno: la nostra azione, la nostra preghiera, la nostra decisione può fare la differenza.

Immagine di Pietro Romeo