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Scudetti, coppe, e poi Auschwitz. Bologna elabora il ricordo di Árpád Weisz

Di Weisz, si era perduta ogni traccia. Eppure aveva vinto più di tutti, aveva conquistato scudetti e coppe. Ben più di tecnici tanto acclamati oggi. Sarebbe immaginabile che qualcuno di loro scomparisse di colpo? A lui è successo
Matteo Marani, Dallo scudetto ad Auschwitz

L’ebreo ungherese Árpád Weisz è stato il primo allenatore a vincere il campionato italiano a girone unico. Era il 1930, l’Inter si chiamava «Ambrosiana» e Árpád, lo scopritore del giovane Giuseppe Meazza, aveva soltanto 34 anni: un record tutt’oggi imbattuto. Qualche anno prima, Weisz nell’Inter ci aveva giocato; e probabilmente non male, se nel 1924 la nazionale ungherese decise di convocarlo ai giochi olimpici di Parigi. Fu un infortunio a costringere l’aletta sinistra ad appendere gli scarpini al chiodo prima del tempo, ma dalle ceneri della sfortuna nacque uno dei più grandi allenatori della storia calcio italiano: il pioniere del cosiddetto «allineamento dei cinque terzini» che Vittorio Pozzo fece suo per vincere i mondiali del 1934. L’anno dopo il trionfo italiano in «coppa Rimet» Weisz approda a Bologna. Con l’ungherese in panchina i rossoblù conquistano 2 scudetti consecutivi (1936 e 1937) e vincono a sorpresa il Torneo dell’Esposizione Universale di Parigi (antenata della Champions League), imponendosi con un secco 4-1 sul Chelsea. In città è festa grande, i Weisz sono delle celebrità nazionali, ma nel buio autunno del 1938 il regime vara le leggi razziali e anche il campione d’Italia è costretto a riparare con la famiglia in Olanda. Due anni dopo i nazisti invadono il paese: Árpád, sua moglie e i suoi due figli moriranno nei campi di Auschwitz, separati e in momenti diversi.

Ci sono voluti sessant’anni perché il nome di Árpád tornasse a essere pronunciato, a Bologna e nell’Italia tutta. Le informazioni di cui disponiamo si devono anzitutto alle ricerche svolte dal giornalista bolognese Matteo Marani, autore dello splendido libro Dallo scudetto ad Auschwitz. Due anni dopo l’uscita del volume, nel gennaio 2009, è arrivata la prima commemorazione ufficiale del comune di Bologna, che in ricordo del campione ungherese ha apposto una targa sotto la torre di Maratona dello stadio Renato Dall’Ara, proprio là dove negli anni Trenta campeggiava la statua equestre del Duce. E qui irrompe l’attualità: celebrando sotto quella lapide l’ultima giornata della memoria, il 27 gennaio scorso l’assessore allo sport Matteo Lepore ha annunciato l’imminente intitolazione ad Árpád Weisz della curva sud dello stadio. La proposta, che di per sé testimonia la volontà del comune di rappropriarsi di un tassello prezioso del mosaico storico della città, non poteva e non ha incontrato resistenze di merito, ma la tiepidezza con cui tanto i bolognesi quanto la società hanno accolto le parole dell’assessore hanno reso evidente come anche le migliori intenzioni, per essere davvero «buone», necessitino di sensibilità e preparazione.

Formalmente, le curve dello stadio comunale dove gioca il Bologna non hanno mai avuto un nome. Dal 2009 la nord, quella del tifo caldo, è dedicata a Giacomo Bulgarelli; ma anche i tifosi più anziani che «Giacomo» lo hanno visto giocare continuano a chiamare quel settore «curva Andrea Costa»: un nome ufficioso, preso dalla via retrostante. Per un processo simile, la curva opposta che il comune vorrebbe intitolare a Weisz è sempre stata chiamata San Luca, perché a sovrastarla, sulla collina, è l’omonimo santuario: un simbolo cittadino, indipendente dal tasso di cattolicità del bolognese che scorgendo San Luca dall’autostrada si commuove e sussurra ai figli seduti dietro «siamo a casa». Se questo è l’antefatto antropologico, il misfatto sta come sempre nelle presunte «guerre di religione» su cui la stampa marcia volentieri, perché contrapponendo santi cristiani e martiri ebrei i titoli vengono meglio. L’accertato scivolone curiale è avvenuto prima del giorno della Memoria, durante i funerali di Ezio Pascutti, altra gloria del Bologna degli anni Sessanta cui verrà invece dedicata la tribuna laterale. Alla presenza del sindaco Merola e dell’assessore Lepore, il vescovo ausiliare emerito di Bologna monsignor Vecchi avrebbe invitato – in riferimento a Pascutti, non a Weisz – a «non toccare il nome della Madonna di San Luca». Una frase infelice, non soltanto per il contesto in cui è stata pronunciata, ma soprattutto perché la curva sud del comunale non è intitolata alla Madonna, viene chiamata «San Luca» per evidenti motivi panoramici, gli stessi che diedero il nome al defunto stadio «Delle Alpi».

Alle evitabili esternazioni di Monsignor Vecchi è poi seguita la paludata – e poco edificante – cautela della società: «ne parleremo insieme al Comune e con chi di dovere», si è limitato a dichiarare il club manager rossoblù Marco Di Vaio. Ancora una volta, i giornalisti locali si sono sbizzarriti nelle interpretazioni, a partire dal fatto che l’azienda FAAC, attuale sponsor della società, dal 2012 è di proprietà della Curia. Così, articolo dopo articolo, retroscena dopo retroscena, sta andando smarrendosi il senso di un’iniziativa encomiabile, l’importanza del ricordo della vita e della morte di Árpád Weisz, già una volta vittima di una città che lo incensò e lo dimenticò alla velocità della luce. In attesa che la discussione riacquisisca l’intelligenza civica e la passione sportiva che merita, l’osservazione più laica, pacata e calzante è arrivata non a caso dai tifosi dello storico Centro Bologna Clubs, che hanno affidato a un comunicato stampa il loro pensiero «indipendente», che dà torto ai bigotti e agli ingenui che dal comune gli hanno fornito l’assist: «L’intitolazione di un settore dello Stadio Dall’Ara ad Árpád Weisz, oltre a rendere omaggio ad un grande della storia rossoblù aumenterebbe il prestigio della nostra città a livello internazionale; tuttavia riteniamo sia più corretto dedicargli il settore distinti (nel quale è già presente una targa che lo ricorda), piuttosto che un settore di una curva che nella memoria popolare del tifoso rossoblù è e rimarrà sempre come Curva San Luca. Vorremmo che non si ripetesse lo stesso errore di valutazione fatto con la variazione del nome della curva Andrea Costa in Bulgarelli».

Immagine: Di sconosciuto – Lo Sport Fascista Anno II, numero 11, pagina 3, Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=5209744