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Un sogno nell’America di Trump

Nei giorni scorsi il presidente degli Stati Uniti ha emanato un decreto eccezionalmente restrittivo per i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo che sperano di trovare accoglienza negli Usa. Le misure più controverse di questo pacchetto anti-immigrazione sono il divieto di ingresso ai cittadini che provengono da alcuni Paesi a maggioranza islamica, non importa se in fuga da guerre e persecuzioni, e l’intenzione di privilegiare gli immigrati cristiani. Vedremo se e in che misura questa impostazione reggerà al vaglio della Corte suprema, che dovrà far valere il principio costituzionale che vieta discriminazioni di natura religiosa. Già ora, però, questi provvedimenti risultano in netta controtendenza con la tradizionale politica americana che, anche quando ha chiuso le porte all’immigrazione economica, a esempio dal Messico, ha sempre lasciato aperta la finestra dell’accoglienza ai rifugiati.

E non è un caso che un senatore di New York abbia commentato dicendo che «oggi delle lacrime scorrono sulle guance della Statua della libertà», vero e proprio simbolo di una tradizione di diritti umani e accoglienza dei profughi. Leggiamo infatti nell’iscrizione posta alla base del monumento che riporta dei versi della poetessa Emma Lazarus: «Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi, i rifiuti miserabili delle vostre coste affollate. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata».

Ma se c’è un’America che plaude al muro che il nuovo presidente sta alzando contro immigrati e rifugiati, ce n’è un’altra che contesta vigorosamente questa svolta. Vorremmo definirla «l’America di Martin Luther King» che, soltanto pochi giorni prima dell’insediamento del nuovo presidente, aveva celebrato la festività nazionale che ricorda il compleanno del pastore battista leader del movimento per i diritti civili. Un’America arcobaleno che comprende bianchi, neri, ispanici e altre minoranze preoccupate per il linguaggio, i programmi e le prime scelte di Donald Trump. Tra di loro vecchi attivisti degli anni ‘60 ma anche nuove leve, soprattutto donne, artefici di una grande marcia di protesta svoltasi il 21 gennaio.

Oggi l’America è spaccata come una mela, divisa tra due anime da sempre chiamate a una faticosa e a volte impossibile convivenza: l’America dell’accoglienza, della inclusione delle minoranze, della libertà di stampa e del pluralismo delle idee e delle religioni come in nessun’altra parte al mondo. Ma anche l’America figlia della segregazione e del razzismo, rinchiusa in se stessa, «nazione cristiana benedetta da Dio», come recita la propaganda della Destra religiosa, concentrata sui propri ed esclusivi interessi, pronta a difenderli con ogni mezzo e a qualsiasi prezzo.

In alcuni momenti queste due Americhe hanno saputo riconciliarsi e avvicinarsi l’una all’altra in quella che Martin Luther King chiamava la beloved community, la comunità che si ama, una società basata sulla giustizia, uguali opportunità, l’amore verso ogni essere umano. In ciò che ancora oggi vive del testamento di King nella «comunità che si ama» non sono tollerate la fame, la povertà, la mancanza di una casa. E neanche il razzismo, l’esclusione e la discriminazione. Nella «comunità che si ama» il settarismo e il pregiudizio saranno sostituiti da uno spirito inclusivo di fraternità e di sororità.

Questa visione e questo sogno evangelico vivono anche nell’America divisa, impaurita e barricata di Donald Trump. 

Foto: ©iStockPhoto