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Italiani senza cittadinanza: lo sprint finale de «L’Italia sono anch’io»

«Non ci sono più scuse, il Senato questa riforma la può votare. Se ciò non accade è perché siamo in vista di elezioni e sbagliando si teme che questa materia porti pochi consensi». Ha esordito così il vicepresidente vicario dell’Arci Filippo Miraglia, che lunedì scorso, dalla sala “Caduti di Nassirya” del Senato ha rilanciato a nome della ventina di associazioni che animano la campagna L’Italia sono anch’io (tra cui la Federazione delle chiese evangeliche in Italia) la battaglia per la riforma della legge sulla cittadinanza. Un percorso cominciato nella primavera 2012, con la consegna alla Camera di una legge d’iniziativa popolare su cui erano state raccolte ben 110 mila firme. Cinque anni dopo, il «testo di compromesso» di cui L’Italia sono anch’io chiede a gran voce la discussione è stato approvato dalla Camera (era il 13 ottobre 2015), ma nonostante i reiterati annunci di tutti gli esponenti della maggioranza continua a giacere nei cassetti della Commissione Affari Costituzionali del Senato.

Non è certamente un caso che la relatrice del provvedimento Doris Lo Moro lunedì non abbia preso parte alla conferenza stampa, lasciando ai colleghi Luigi Manconi (PD) e Loredana De Petris (Sinistra Italiana) la gestione di un imbarazzo che su questo tema è trasversale a tutto il centro-sinistra. «L’inerzia del Senato è negativa – ha ammesso Manconi – e per me, che sono stato eletto nelle liste del PD, questo stallo è ancora più amaro perché la campagna elettorale per questa legislatura, allora condotta dal Segretario Bersani, aveva come primo obiettivo la riforma della legge 91 del 1992». «Il problema – ha proseguito la collega De Petris – è che quel programma appartiene ad un’altra epoca: era il programma di “Italia Bene Comune”, che non ha espresso la maggioranza di governo, tant’è che ora io siedo all’opposizione. Se prescindiamo dalla volontà politica – ha specificato De Petris – la verità è che non ci sono più scuse: il referendum costituzionale c’è stato, l’aula ha un calendario affrontabile; noi, che riteniamo che il provvedimento sia timido, abbiamo già chiesto varie volte la sua calendarizzazione, e ribadiamo che lo voteremmo senza presentare emendamenti».

Dopo gli interventi dei senatori hanno preso la parola i rappresentanti di alcune delle associazioni che sostengono la campagna: Arci, Acli, Lunaria, Cgil, G2, #ItalianiSenzaCittadinanza. Per Antonio Russo delle Acli la riforma approvata dalla Camera non corrisponde in tutto e per tutto ai desiderata de L’Italia sono anch’io, ma procede tuttavia nella giusta direzione. «Il motto che facciamo nostro è “se non ora quando?”. Davvero non capiamo quali impedimenti ci siano: o si vota a giugno o si vota a fine legislatura, intanto passi questa legge. Altrimenti bisognerà spiegare alla maggioranza degli italiani che, lo ricordiamo, è favorevole questa riforma, e a oltre un milione di “italiani di fatto” quali sono i motivi per cui non si vuole un cambiamento di buon senso, che rafforza i vincoli di appartenenza in un paese disgregato». Sulla medesima linea gli accorati interventi dei rappresentati delle altre sigle, tra cui è spiccato, per schiettezza ed efficacia, l’arringa di Paula Vivanco del movimento #ItalianiSenzaCittadinanza: «Lo diciamo chiaro: per noi e per le organizzazioni che rappresentiamo, questa riforma sarà il metro per giudicare la coerenza di certe forze politiche. Lo ribadiremo in piazza, ogni martedì del mese, fino al 28 febbraio, quando daremo vita a una grande manifestazione nazionale».

In attesa di conoscere le ripercussioni di queste nuove mobilitazioni sull’iter legislativo della riforma, abbiamo chiesto a Giulia Gori, responsabile del “coordinamento accoglienza” di Mediterranean Hope (il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia) come mai tutte le associazioni che promuovono la campagna definiscano «testo minimo» la legge di cui chiedono l’approvazione.

«L’espressione che meglio descrive la riforma attualmente al vaglio è “ius soli temperato”. La tiepidezza del dispositivo deriva dal fatto che si vincola la concessione della cittadinanza al bambino nato in Italia al possesso, da parte di almeno uno dei genitori, della carta di lungo soggiorno che le questure concedono in presenza di precisi requisiti economici. Nel momento in cui ancoro la cittadinanza ad una specifica tipologia di permesso di soggiorno corro il rischio di creare “cittadini per censo”: è questo il rammarico de L’Italia sono anch’io, che d’altro canto apprezza i progressi del testo su altre questioni. La parte più avanzata della legge – prosegue Gori – è quella relativa al cosiddetto “ius culturae”, che regola la concessione della cittadinanza anche a figli di immigrati nati all’estero. Nel caso in cui siano entrati in Italia entro i 12 anni, basteranno 5 anni di frequenza scolastica e al compimento della maggiore età essi potranno fare domanda di cittadinanza; nel caso in cui siano entrati dopo i 12 anni, gli anni di scuola salgono a sei. Altro aspetto importante: la finestra per formulare la domanda rimarrà aperta per 2 anni invece che per uno come accade oggi. Nel complesso, direi che è comprensibile che chi abbia a cuore il futuro di un milione di persone al momento escluse dai diritti e dai doveri della società in cui vivono sostenga con forza questa riforma».

Immagine di L’italia sono anch’io