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Il caso più unico che raro di Artemisia Gentileschi

Almeno due film e altrettanti libri sono stati dedicati ad Artemisia Gentileschi, pittrice. Figlia d’arte, Artemisia nasce a Roma nel 1593 e grazie al padre impara, così come i fratelli, a disegnare e dipingere. Frequenta l’ambiente artistico romano del tempo, ancora totalmente assoggettato allo sconvolgimento provocato da Michelangelo da Caravaggio, e ne diventa parte. Dotata di inequivocabile talento, riesce ad affermarsi artisticamente nel corso di una vita ricca di spostamenti e incontri importanti. Della sua vita si ricorda spesso l’evento più violento, anche grazie alla precisa documentazione rimasta: il controverso stupro subito da parte dell’amico pittore del padre, Agostino Tassi; evento che secondo i critici non manca di avere rimandi frequenti sulle tele di Artemisia. Ma dopo questo evento la Gentileschi si emancipa e diventa una delle donne più indipendenti del suo tempo; nel corso degli anni si sposta a Firenze, Venezia, Londra e Napoli, dove muore nel 1653.

Un’esposizione ne vuole ripercorrere la parabola artistica; ce ne parla la professoressa Francesca Badassarri, curatrice della sezione fiorentina della mostra Artemisia Gentileschi e il suo tempo.

Come potremmo descrivere il tempo di Artemisia Gentileschi?

«Roberto Longhi, critico d’arte seicentesca nel 1919 scriveva: “Artemisia è l’unica donna in Italia che abbia mai saputo cosa sia pittura, colore, impasto”. Lei è una donna eccezionale perché, come dimostra questa mostra, nel contesto in cui viene a operare cambia pelle, diventa camaleontica. Quando è a bottega col il padre dipinge alla maniera di Orazio Gentileschi, ci sono due opere in mostra che l’attestano. Nel momento in cui, in seguito allo stupro nel 1613, arriva a Firenze, intreccia rapporti con tutti i pittori locali, quindi abbiamo raccolto le sue opere di quel periodo così come quelle di Cristoforo Allori che è stato uno dei pittori più importanti del ‘600 fiorentino, l’inventore della poetica degli affetti che insegna ad Artemisia a dare rilevanza e accentuare i sentimenti, fino quasi a sembrare un’altra pittrice. Quando va a Roma diventa amica di Simon Vouet e quindi nei suoi ritratti lo riprende e si ispira ancora a Caravaggio; nel momento in cui va a Napoli c’è un rapporto diretto coi pittori napoletani dei quali lei si serve e che l’aiutano. La mostra ha la particolarità di presentare opere della pittrice e insieme opere dei pittori che sono venuti in contatto con lei e verso i quali c’è stato un rapporto di scambio reciproco».

È un’eccezione la notorietà artistica di Artemisia Gentileschi?

«Non ci sono altri esempi, soprattutto nel passato. Nel ‘600 per diventare pittrici bisognava essere figli d’arte, questo è il suo caso, il caso di Lavinia Fontana, di Elisabetta Sirani e poche altre, ma era molto difficile che si potesse diventare pittrici senza un padre che insegnasse a dipingere. La sua famiglia è già un’eccezione, ma relativa; la vera eccezione è che il padre, Orazio Gentileschi, avesse quattro figli, tre figli maschi che a loro volta dipingevano e che però non sono passati alla storia, mentre Artemisia si. Vuol dire che anche il padre un certo talento deve averglielo riconosciuto. Nel momento in cui arriva a Firenze è la prima donna ad essere ammessa all’Accademia del disegno, un’associazione di pittori fondata nel 1546 da Giorgio Vasari. Non sarebbe mai stata ammessa se non per evidenti capacità, un segno fondamentale che dimostra che a lei vengono riconosciute doti che ad altre non vengono riservate.

Poi ha dei committenti di prim’ordine: quando arriva a Roma ha una corrispondenza con Graziano del Pozzo, addirittura con Galileo Galilei; tutte le commissioni di Artemisia sono attestati di fiducia e di stima».

Viene riconosciuta come una pittrice caravaggesca, ma quale sono le sue peculiarità?

«Il padre è senz’altro un pittore caravaggesco, del primo Caravaggio. Ma non dimentichiamo che Orazio Gentileschi è nato a Pisa che, come Firenze è la città del disegno. Non si poteva prescindere dal disegno.

Una novità della mostra è la presenza del primo disegno, un autoritratto attestato ad Artemisia, cosa che i pittori caravaggeschi non avrebbero fatto perché non disegnano, dipingono direttamente sulla tela. Lei invece lo fa, quindi possiamo affermare che aveva una formazione di tipo toscano.

La fase più caravaggesca è quella napoletana perché li Caravaggio lascia un segno incredibile: anche se non aveva allievi sono tanti quelli che lo seguono e lo imitano».

Quali sono i temi principali delle opere di Artemisia?

«Ci sono molte figure femminili ma anche temi tipici delle correnti principali dell’epoca: conosciamo tre versioni della Giuditta, quella che viene da Palazzo Pitti, quella di Capodimonte e quella dagli Uffizi. Però, mentre in quella di palazzo Pitti Artemisia non inventa la novità iconografica delle due ancelle che sconfiggono l’uomo, in quelle di Capodimonte e degli Uffizi, per la prima volta rispetto alla stessa versione di Caravaggio, l’ancella aiuta a sconfiggere Oloferne».

La figura di Artemisia è ancora un simbolo di indipendenza femminile?

«Noi vorremmo tutte donne coraggiose come lei, che fanno delle proprie esperienze negative dei punti di forza e di riscatto. Perché la sua è proprio questo: una storia importante di riscatto e di autodeterminazione. Molte donne non riuscirebbero a superare una violenza del genere, Artemisia la supera alla grande. Ogni donna vorrebbe, innanzitutto non essere stuprata, poi casomai lo fosse, reagire in questo modo. Io credo che poi Artemisia si sia completamente dimenticata di Agostino Tassi; ha avuto molti amanti riconosciuti, il marito stesso è andato via da Firenze dopo aver subito i tradimenti di Artemisia, un marito che accetta il tradimento, praticamente un amico. Lei è stata una donna, se vogliamo, femminista ante litteram: l’utero era suo e se lo gestiva lei. Questo è quello che ha fatto: è stata una donna libera come nel ‘600 non si poteva neanche immaginare».

Immagine: di Artemisia Gentileschi – Originally from Google Cultural Institute (image page), edited for levels, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16313642