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Riconvertire la finanza in senso «pulito»

«Non c’è più tempo, la Nuova Papua Guinea rischia di non esistere più se non si riduce immediatamente l’emissione di CO2 responsabile del cambiamento climatico». Queste le parole che hanno aperto il seminario dal titolo «Laudato Si’ & Investimenti cattolici. Energia pulita per la nostra casa comune» proposto dalla Focsiv (Federazione degli organismi cristiani di servizio internazionale volontario) lo scorso 27 gennaio.

A dare speranza concreta e a reale sostegno degli intenti faticosamente ottenuti dalle conferenze sul clima e destinati all’oblio da parte di governance senza scrupoli, è una compagine cattolica strutturata che vede agire in un’unica formula fede, cultura e finanza. Al seminario hanno preso la parola donne e uomini rappresentanti di organizzazioni filantropiche, religiose: era presente anche Henrik Grape della Chiesa di Svezia (membro di Ecen, la rete europea dei cristiani per l’ambiente, e segue le Conferenze internazionali Cop per conto del Consiglio ecumenico delle chiese), accademici e soprattutto illustri nomi della finanza pronti a rivoluzionare le borse di tutto il mondo nel binomio divest/invest. Disinvestire dai combustibili fossili per investire in fonti rinnovabili.

Un percorso articolato che nasce da una domanda mirata ai cristiani, se sia possibile ancora negare gli effetti dell’inquinamento energetico convenzionale. Un’evidenza innegabile, un rischio al limite dell’irreversibile. Ma non solo questo è uscito dall’Aula magna della Pontificia Università Lateranense, dove il seminario si è tenuto. Quella che raccontano è una storia diversa, non è solo il monito di apertura del cardinale John Ribat, presidente della Federazione delle conferenze dei vescovi di Oceania; non è solo testimonianza da territori trasformati, di economie al collasso, di migrazioni forzate o la triste foto di sopravvissuti all’ennesima catastrofe naturale, ma è una coscienza rinnovata, consapevole che si fa avanti tra mille difficoltà e laddove tutto sembra impossibile da cambiare avanza coraggiosamente con passo decisivo. A dirlo sono professori universitari che, pungolati da grandi organizzazioni umanitarie, insegnano una nuova economia, fondata su rispetto del pianeta, crescita e sviluppo non più prescindibili da parte della responsabilità individuale.

È una storia bella che va oltre le aule universitarie, per formare intellettuali, analisti, economisti pronti a sostenere la causa con i fatti. Raccontano una gestione umana della finanza, funzionale all’umanità che vuole lasciare la propria impronta nella difesa del pianeta. Ed è proprio di impronta che si parla, la nostra impronta. Si allontani da noi l’idea di non avere una quota parte nel mercato della finanza. Niente di più sbagliato. Siamo correntisti, tuteliamo il domani aderendo a fondi pensionistici o con polizze che ci garantiscano un minimo di disponibilità. Acquistiamo con carte di credito e consumiamo quotidianamente energia derivante da combustibili fossili. Oggi abbiamo la possibilità di veder crescere una nuova realtà economica soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove incalza la natalità e l’aumento energetico per prossimi anni è tutto in crescita; è la realtà messa a margine perché una certa finanza ha urlato l’impossibilità di uscita dall’industria petrolifera, carbonifera o del gas, mentre un’altra finanza dimostra che è tutta una «bolla», un legame indissolubile di interessi corrotti tra colossi bancari, petroliferi e affini.

Qui avanza la domanda del cittadino responsabile: che cosa fai dei miei soldi? Quanto impatto con il mio grande o piccolo investimento sul pianeta? A rispondere sono aziende leader nel settore degli «investimenti sostenibili responsabili» (Sri), con un’analisi del profitto che calcola l’impatto dell’investimento in proporzione all’emissione di CO2, che in termini di indici può voler dire 100 euro investiti contro 28 Kg di emissione di CO2 anziché contro 501 Kg. Ecco dove e come facciamo la differenza, nell’impronta ambientale che firmiamo esistendo. Il senso di responsabilità sta portando a nuove strategie di investimento, eolico, solare, di efficienza energetica a cui fanno capolino future, fund, fondi pensione nati sulla scia del disinvestimento.

È un processo che va di pari passo: tanto disinvesto tanto investo, che non può svincolarsi nell’immediatezza ma lo può fare sistematicamente dando spazio tanto alle energie verdi quanto alle aziende a basso impatto ambientale (che utilizzano fossili ma che impattano in modo controllato). I rendimenti sono garantiti entro il limite in cui è garantito un investimento finanziario. Il domani è sempre un’incognita in termini di denaro ma lo è meno in termini di salvezza. Alla fine di questo percorso, quando avremo anche capito che il costo energetico pro capite per fermare il disastro climatico dovrà scendere a 750,00 euro, contro i globali 35 trilioni di dollari attuali, forse ci sentiremo un po’ confusi da numeri, analisi e performance, ma avremo acquisito una nuova certezza, quella che possiamo farcela perché «in questi dati ci sono anch’io» e non sono un unità ma una pluralità, io sono parte di una comunità religiosa che decolla verso la ri-conversione, e che firma un’ipoteca sul futuro con la propria identità… cristiana.

Immagine: via pixabay.com