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500 anni di relazione tra la Riforma e le arti

Tra i tanti eventi in programma per celebrare i 500 anni della Riforma protestante, si moltiplicano le occasioni di confronto tra confessioni diverse. Ne è un esempio il convegno organizzato dall’Istituto Superiore di Studi Religiosi di Villa Cagnola, in collaborazione con l’Arcidiocesi di Milano, la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano: Lutero, la Riforma e le arti; l’articolato rapporto con la pittura, la musica e il cinema.

Cinque secoli in cui il rapporto tra il riformatore, e il protestantesimo in generale, con le arti visive è stato inizialmente non del tutto compreso, fino a evolversi e ritrovarlo oggi in cerca di nuovi spazi e reinterpretazioni in quella che sembra una necessità di riappropriazione del linguaggio visivo secondo un’identità che nei secoli si è sempre più evoluta ed emancipata.

Ne parliamo con Monsignor Franco Buzzi, prefetto della biblioteca Ambrosiana di Milano.

Con la Riforma di Lutero cosa è successo in campo artistico?

«È successa una specie di rivoluzione: le arti cosiddette figurative avevano già dato buona prova di sé nei secoli precedenti, tuttavia non erano state assunte in maniera così esplicita a servizio di una parola, la parola della rivelazione, così come ha pensato di fare Lutero.

Devo precisare: non che Lutero vedesse nella possibilità delle immagini qualcosa di assolutamente necessario alla propagazione e all’annuncio della parola cristiana e dell’ Evangelo, però quando a Wittemberg accadde quella rivolta importante, dove era soprattutto Carlo Stadio la persona che movimentava la riforma in maniera troppo veloce secondo il modo di sentire di Lutero, si venne addirittura a determinare un processo di iconoclastia. Le immagini sembravano essere in contraddizione con quanto stabilito all’interno della Scrittura, per esempio in alcuni testi del secondo libro di Mosè, l’Esodo, e poi il testo del Deuteronomio in cui si dice “Tu non ti farai nessuna immagine di Dio né in cielo né sottoterra né negli abissi perché io sono il Signore Dio tuo e solo me tu devi adorare”.

È un richiamo vigoroso al tema della fede, e alla fede nella Parola, quindi nell’annuncio del Vangelo in cui Cristo soltanto, con la sua morte offre la salvezza e il perdono a tutti gli uomini. Uscire da questa prospettiva così cristocentrica determinante per la fede significava perdere la strada e disperdersi in devozioni che non avevano di per se nessun frutto. L’idea alla base dell’iconoclastia era questa: la preoccupazione di mettere al centro soltanto Cristo crocifisso perché avendo fede in lui, e soltanto in lui, noi possiamo avere il perdono dei peccati e la salvezza.

Lutero non ha condiviso in tutto e per tutto questa posizione perché ha intravisto anche nell’uso delle immagini sacre che, per esempio, descrivono la storia della salvezza sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, la possibilità di un ricordo, una memoria, una rappresentazione che poteva per conto suo condurre al cuore vero della rivelazione cristiana».

Si è quindi mal interpretato il primato della parola come rifiuto del linguaggio delle immagini?

«Per esempio con Calvino le cose sono diverse perché lui proprio nella sua Istituzione della religione cristiana, quella francese del 1560 nel capitolo 11 del primo volume, segnala che qualsiasi ricorso a immagini in realtà esprime una mancanza di fede. Lutero è più possibilista, diceva che le arti figurative come anche gli addobbi ecclesiastici, i candelieri antichi, tutto quello che è apparato ecclesiastico, gli organi delle chiese e la stessa musica non sono qualcosa di obbligatorio però non è nemmeno proibito; lui parlava di adiafora, una parola di origine greca che significa cose non rilevanti, che risultano indifferenti quanto alla necessità o all’opportunità di non praticarle».

La Riforma innesca la Controriforma; la Controriforma in qualche modo influenza di rimando il mondo protestante più recente?

«Io credo di si. Posso precisare che le arti figurative, quelle basate sul disegno come fondamento per la pittura la scultura o l’architettura, Lutero le recepisce dall’età medievale come facenti parte non delle cosiddette artes liberales, quelle del quadrivio (aritmetica, geometria, musica e astronomia) e del trivio (grammatica, dialettica e retorica). Le arti figurative non erano arti liberali ma erano interpretate in tutto il medioevo come artes mecanice, arti meccaniche, cioè che fanno riferimento a un uso tecnico della mano che lavora. In fondo non c’è, anche in Lutero, un’attenzione estetica vera e propria riguardo all’immagine, che sia un’incisione o un dipinto, non c’è attenzione alla rilevanza estetica delle immagini quanto piuttosto un uso di tipo teologico, strettamente legato alla possibilità che l’immagine ha di funzionare in rapporto alla memoria di ciò che è il cuore della rivelazione cristiana. L’attenzione è più all’aspetto contenutistico, il discorso estetico si sviluppa con l’età moderna e da questo punto di vista la Chiesa Cattolica Romana ha dato grandissimo incremento; dobbiamo pensare all’età di Raffaello e di Michelangelo dove, al di là di tutto, siamo di fronte a una produzione del bello che si impone in tale misura da far passare la considerazione su queste arti meccaniche per intenderle come un vero e proprio elaborato di arte con un contenuto, oltre che teologico, anche artistico secondo dei canoni di bellezza che non coincidono esattamente con una funzione di tipo teologico, catechetico o pedagogico».

In tempi più recenti come si è evoluto il rapporto del mondo protestante con le arti, anche quelle più recenti come il cinema?

«Anche il mondo protestante, in senso ampio, ha preso atto di questa opportunità che dà l’immagine, che diventa anche immagine in movimento con tutti i mezzi che abbiamo oggi a disposizione. Ma direi che l’evoluzione, all’interno delle arti, la si vede soprattutto nel campo musicale: la musica è diventata qualcosa di insostituibile accanto alla predicazione della Parola. Pensiamo all’evoluzione barocca della musica, a tutto ciò che sta attorno alla grandissima figura di Johann Sebastian Bach. L’organista diventa, in un certo senso, il ripetitore del pastore, la funzione della musica a questo punto è quello di aiutare a interiorizzare il discorso fatto con la retorica del linguaggio perché la predicazione ha anch’essa le sue leggi e sono discorsi costruiti ad arte; l’oratore vero mira non semplicemente a comunicare dei contenuti ma anche a commuovere, a suscitare degli affetti, a mettere in funzione la totalità della persona affinché recepisca il contenuto salvifico della parola proposta. La musica aiuta molto questo processo di interiorizzazione e di sensibilizzazione del cuore perché possa aderire con fede, fede suscitata ma anche “tenuta calda”, dagli affetti che vengono mossi».

Immagine: By Lucas Cranach the Elder – 1./2. Unknown3. The Bridgeman Art Library, Object 41801, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=475854