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Doisneau al forte di Bard

Nel bellissimo scenario e negli spazi del Forte di Bard è possibile visitare una mostra fotografica dedicata a colui che più di ogni altro ha resola fotografia un evento artistico: si tratta di Rober Doisneau. Non a caso la mostra si intitola Icônes e raccoglie scatti, video interviste, oggetti e aneddoti che accompagnano il percorso che si dipana nelle cannoniere del forte. Ci sono i ritratti che Doisneau fece a grandi personaggi dell’epoca, come Picasso e Giacometti, a fianco di quelle più anonime ambientate nelle periferie parigine ma che mantengono un fascino poetico e un’attualità nonostante siano state scattate più di cinquant’anni fa.

Ce ne parla il curatore Gabriele Accornero.

Come mai Doisneu è considerato un’icona?

«La riconoscibilità di molte delle fotografie di Doisneau è incredibile, in particolare il bacio davanti all’Hotel de Ville è forse l’immagine fotografica più riprodotta al mondo che ha avuto anche una storia particolare quando ne è stata rivendicata l’interpretazione da parte di una coppia di giovani amanti. Oltre a questa ci sono immagini straordinarie della Parigi degli anni ’50 così come immagini che ritraggono i bambini a scuola, uno dei soggetti prediletto da questo “pêcheur d’images”, “pescatore di immagini” come lui soleva rappresentarsi. Un uomo introverso, lo descrivono così le due figlie che in mostra sono intervistate; un uomo che aveva respinto gli inviti dell’agenzia Magnum a diventare un reporter internazionale impegnato socialmente perché per lui la fotografia era uscire di casa, da questo piccolo atelier nella banlieue di Parigi, e andare a cercare ispirazione.

Le immagini che catturava grazie alla composizione e al movimento che riusciva a carpire sono diventate leggendarie in tutto il mondo».

Data la sua riconoscibilità, rimane ancora qualcosa di non detto su Doisneau?

«C’è da scoprire soprattutto la sua umanità, la personalità, la suo storia. Pensate che in una famosa intervista ha definito gli esseri che più stima sul pianeta Les syndicalistes anonymes, i sindacalisti anonimi, ovvero quelle persone che proteggono e lottano per i diritti degli ultimi ma nell’anonimato non, come purtroppo vediamo troppo spesso, cercando la fama personale. Era un uomo che aveva anche finanziato e sostenuto Les imprimeur anonymes clandestin durante la resistenza. C’è una foto bellissima dal fronte francese interno di liberazione che ritrae un partigiano che sembra quasi un attore di cinema talmente è bello questo ragazzo. Doisneau aveva tantissime cose da raccontare che nascevano anche da frequentazioni illustri come quella con Jacques Prevert; proprio lui racconta che in una passeggiata sulle Alpi Marittime aveva incontrato Doisneau il quale aveva appena incontrato un pastore che aveva perso le sue pecore investite da un automezzo, ed era molto triste per questo. Prevert gli chiese se avesse colto quell’opportunità per fotografarle e lui gli rispose assolutamente no e di aver speso quel tempo per consolare il pastore. Prevert conclude il racconto dicendo che il quel momento la vita faceva la più fedele istantanea di Robert Doisneau».

Una delle sue citazioni riguarda la necessità di “mostrare un mondo in cui si sarebbe sentito bene, le persone sarebbero state gentili e dove trovare la tenerezza che cercava di ricevere”. Come può questo desiderio accordarsi a una realtà che può essere molto dura e crudele?

«Lui viene raccontato come un cantore delle periferie, ma sarebbe più corretto dire che è il denunciatore di quei decor degradati in cui era cresciuto. Lui denuncia ma lo fa con la sua poesia e il suo stile, che non era quello del fotoreporter impegnati alla Magnum come i suoi colleghi di allora: Cartier Bresson, Robert Capa e Ferdinando Scianna. Lo stesso Scianna in mostra ha voluto omaggiare con un commento un ritratto di Doisneau che è esposto su una parete.

Doisneau col suo stile ha voluto descrivere un percorso e lasciare dei messaggi molto profondi e questo si può cogliere abbinando la visione delle fotografie con la lettura delle citazioni che sono trasposte su tutte le pareti della mostra così come seguendo le interviste di Francine e Annette, le due figlie che hanno vissuto con lui in questo modestissimo atelier/abitazione.

Doisneau poi era un maniaco della Rolleiflex, non era un amante della tecnologia, però era molto affezionato a questo apparecchio perché gli consentiva di non allontanare l’obiettivo della fotografia, perché la Rolleiflex prevede che si scatti appoggiandola sullo stomaco. Lui addirittura aveva un piccolo trucco: l’appoggiava su un’anca, guardava il soggetto, poi lo distraeva guardando un terzo punto e quando il soggetto guardava questo terzo punto lui scattava la foto in modo che il soggetto non fosse inibito».

Immagine: via Flickr