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Pakistan, ritirata la legge contro le conversioni forzate

Quando ormai sembrava una questione risolta, tutto è stato rimesso in discussione, con grande sconcerto delle minoranze religiose. Succede in Pakistan: la legge che punisce le conversioni forzate, approvata a novembre all’unanimità, è stata rigettata dal governo, che l’ha ritenuta “anti-islamica” e pericolosa per i rapporti interreligiosi.

Il provvedimento, votato dall’assemblea provinciale di Sindh e voluto fortemente dalle confessioni minoritarie per difendersi dalla pratica della conversione all’Islam di ragazze con meno di 18 anni, in occasioni di matrimoni forzati, un’usanza ancora diffusa nel Paese.

La legge – che prevedeva pene da cinque anni fino all’ergastolo per chiunque tentasse di convertire un minore contro la sua volontà – era stata salutata con favore dalle minoranze, come un mezzo per arginare le violenze delle frange islamiche conservatrici, ma è stata bloccata dal governo. Non solo: 13 deputati autori del testo della legge, fra cui anche tre ministri, sono stati minacciati di morte.

In seguito alla decisione del governo è cresciuto l’allarme fra i cristiani, che vedono nel respingimento della legge una violazione della libertà di religione. Ora si spera in una presa di posizione politica da parte di chi ha a cuore i diritti delle minoranze. Accorato il richiamo di Mukhee Lal Chand, presidente del Consiglio generale indù nel distretto di Jacobabad, che – come è riportato da AsiaNews – ha dichiarato che «Non possiamo fare nulla per impedire i rapimenti e le conversioni delle nostre figlie minorenni. Questa è davvero un’ingiustizia. Avevamo un grande bisogno di questa legge». Un rapporto della Commissione asiatica per i diritti umani stima ogni anno almeno mille giovani donne siano costrette a sposarsi secondo il rito islamico e a rinnegare la propria religione.