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Un sogno diventato incubo

C’era una volta un sogno. Il sogno di un popolo finalmente libero dall’oppressione, capace di slegarsi con un referendum dal Nord del paese, a maggioranza musulmana, e autodeterminarsi nella costituzione della più giovane nazione del mondo, nata nel 2011, con una popolazione in maggioranza cristiana e animista. Il sogno del Sud Sudan è durato davvero poco ed oggi è in mille pezzi. Anzi, in 1 milione e 200mila pezzi, tanti quanti sono i profughi del paese scappati in Uganda, Kenya e Etiopia; un numero al quale si deve aggiungere un altro milione e 870mila di sfollati nel Paese. Sono numeri che danno l’idea di una situazione che, stando agli operatori umanitari sul luogo, peggiora di giorno in giorno. «Siamo estremamente preoccupati per quanto sta avvenendo – ha confermato Lokiru Yohana, coordinatore dei programmi della Federazione luterana mondiale (Flm) nella regione -. Abbiamo notizie di scontri anche in aree fino ad oggi risparmiate dal conflitto, tra cui la regione di Equatoria che è il granaio della nazione». In effetti, da che sei mesi fa l’accordo di pace tra le fazioni in lotta – quella capeggiata da Salva Kiir a cui si oppone quella di Riek Machar, rispettivamente presidente e vice presidente del Sud Sudan – è saltato, la guerra si è ormai diffusa ovunque, seguendo linee di divisione tribali. Secondo gli osservatori delle Nazioni Unite c’è il pericolo di un genocidio, di «un costante processo di ‘pulizia etnica’» realizzato attraverso massacri, stupri e distruzione di villaggi. L’emergenza umanitaria maggiore è però dovuta alla scarsità di cibo con 4 milioni di persone definite «ad estremo rischio alimentare», che cioè non sanno né dove né quando potranno consumare il loro prossimo pasto. «La stagione secca iniziata a novembre peggiora le cose – spiega Yohana -. La fine delle piogge facilita gli spostamenti delle milizie e dei predatori di bestiame. Anche i convogli umanitari con cibo e materiali di prima necessità sono a rischio. E’ sempre più difficile garantire la sicurezza dei nostri operatori”, ha concluso l’esponente della Flm, offrendo un altro tassello esplicativo della drammatica situazione, dimenticata dai media, della giovane nazione africana.

La maggior parte dei profughi si è rifugiata nell’Uganda meridionale, dove ogni settimana sono registrati circa 3mila nuovi arrivi. «Ai profughi offriamo riparo, acqua, cibo e protezione, ma con questi numeri abbiamo bisogno di nuovi aiuti», lancia l’allarme Jesse Kamstra, rappresentante della Flm in Uganda. «Qui, ormai, arrivano persone che portano con sé tutto quel che possono, persino gli animali domestici: nessuno di loro si aspetta di poter tornare a casa». La Flm è presente anche in Etiopia, nella regione di Gambella, dove dal settembre scorso sono giunti oltre 45mila sud sudanesi, l’86% dei quali donne e bambini. Non è migliore la situazione nel campo di Kakuma, in Kenya, dove la Flm opera per conto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur). «Tutte le testimonianze che raccogliamo confermano che la situazione in Sud Sudan sta peggiorando ogni giorno di più», affermano gli operatori del campo. A Kakuma i problemi maggiori sono due: la scarsità di vaccini disponibili alle frontiere e la scarsità di cibo. Per entrare in Kenya sono necessarie alcune vaccinazioni, cosa che blocca alla frontiera un numero non indifferente di profughi. Per quel che riguarda il cibo, l’Acnur ha dovuto dimezzare le razioni giornaliere. A patirne di più sono soprattutto gli adolescenti, i giovani adulti, le persone che necessitano di diete particolari. Come dice un operatore: «La realtà è che a Kakuma nessuno ha abbastanza per sfamarsi».

Immagine: via flickr.com