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L’immigrazione attraverso la lente teologica

Dall’azione sociale e diaconale, alla liturgia, alla vita pastorale, alla riflessione teologica, le chiese stanno imparando a rispondere, adattandosi, al movimento migratorio in Europa e che giunge da oltre i suoi confini.

Questi paesaggi mutevoli, sono stati al centro di una recente consultazione promossa dalla Conferenza delle chiese Europee (Kek) con la sua Commissione per i migranti in Europa e con la partecipazione del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) e della Chiesa evangelica luterana della Danimarca. Un incontro che si è tenuto dall’8 al 10 dicembre a Copenhagen.

La consultazione «Essere chiesa in Europa: migrazione e ecclesiologia», ha riunito oltre 30 partecipanti provenienti da diverse chiese e, insieme, hanno affrontato temi importanti quali: comunicare il Vangelo in contesti sempre più multiculturali; il cristianesimo e le altre comunità di fede; o ancora, l’impatto delle migrazioni, il ministero pastorale e i sacramenti.

Partendo da una riflessione sul contesto globale, il direttore della Commissione fede e costituzione del Cec, il pastore Odair Pedroso Mateus, ha introdotto il testo, oggetto di studio e di lavoro in occasione dell’incontro, dal titolo: «La Chiesa: verso una visione comune» e ha invitato i partecipanti a riflettere sul significato ecumenico della Chiesa, del Dio, Uno e Trino.

Nuovi modi di «essere chiesa insieme» stanno infatti emergendo nel mondo e i cristiani sono, giorno dopo giorno, chiamati a nuove sfide, come ad esempio, le ideologie laiciste e quelle religiose «materiali»; una prosperità, sostiene Mateus, che sta diventando esageratamente «individualista».

Sono state raccontate molte esperienze provenienti da contesti nazionali, tra le quali quella italiana, dove il modello chiamato «Essere Chiesa Insieme», sta «facendo scuola da tempo». Progetto sviluppato dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) si basa sulla reciproca inte(g)razione, dove sia la comunità accogliente che quella insediata si trasformano insieme grazie alla pratica quotidiana conoscitiva, il dialogo e la preghiera condivisa.

Sono stati evidenziati anche gli sforzi che la Germania sta portando avanti per sviluppare nuove formule e attività di culto e dove l’identità delle comunità lentamente sta diventando un patrimonio culturale tedesco-africano.

Il metropolita estone Stephanos di Tallinn, ha ricordato invece quanto si stia discutendo in Europa di «filetismo» (la tendenza moderna, soprattutto nella Chiesa greco-ortodossa, a prendere come base della giurisdizione ecclesiastica la nazionalità, anche non costituita in organismo statale, cioè di «razza» o di «tribù») in relazione al rapporto tra chiese etniche e identità nazionali: «soprattutto all’interno della cosiddetta diaspora ortodossa», rileva Tallinn.

Aguswati Rambe, della Chiesa evangelica luterana di Baviera si è riferito alle radici del cristianesimo per comprenderne l’impostazione dell’oggi.

«La migrazione – ha osservato Rambe –, è un’esperienza fondamentale per formare le chiese; anche dalla storia di Adamo ed Eva, o da quella dell’esodo, degli apostoli, e di tanti altri credenti sommati nel corso dei millenni, possiamo trovare esempi e narrazioni importanti per diffondere il vangelo».

L’incontro di Copenhagen è stato utile per giungere, nel 2017, a poter avere prospettive spirituali, pastorali e teologiche comuni e condivise e come intendere l’«Essere Chiesa insieme» in questo particolare momento storico e di prospettiva ecumenica e migratoria.

Immagine: di by Alexandre Dulaunoy Red Candles, via flickr.com