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La fede sotto il controllo dello Stato

Il Vietnam ha appena votato una legge controversa in tema di fede e religione, che ha scatenato rinnovati timori di repressione dello Stato in nome dell’unità nazionale.

Redatta dal Fronte della Patria Vietnamita, afferma che ognuno ha il diritto di praticare la religione e partecipare a feste religiose, che lo Stato rispetta e tutela il diritto di tutti alla libertà di credo e di religione, e assicura che tutte le religioni sono uguali davanti alla legge.

Parole all’apparenza rassicuranti, ma molti temono invece che il testo, approvato dall’Assemblea nazionale con l’85% dei voti e che lascia grande discrezionalità all’intervento del governo in caso di “gruppi religiosi sospetti”, sarà utilizzato dalle forze dell’ordine per perseguitare i credenti.

La legge è passata nonostante le proteste della comunità internazionale e le obiezioni interne, alcune provenienti addirittura dalle fila del partito comunista. Tra i critici più feroci si schiera il Consiglio interreligioso del Vietnam, i cui 27 membri del consiglio (cristiani, buddisti, e membri delle comunità tradizionali Cao Dai e Hoa Hao) hanno dichiarato che, come leader spirituali che lottano per l’indipendenza delle religioni e per i diritti umani e civili delle persone, rifiutano completamente la legge così formulata.

Dal canto suo, la Commissione di Stato per gli affari religiosi dice che la legge servirà soltanto a contrastare i gruppi intransigenti, come le sette e i culti che utilizzano la religione per minacciare l’unità nazionale. Tuttavia, più di 50 politici, associazioni per i diritti umani e comunità religiose – tra cui Human Rights Watch e Amnesty International – si sono uniti al coro di opposizione. In particolare Human Rights Watch sostiene che il testo approvato consente alle autorità di individuare e perseguitare i gruppi religiosi ritenuti “scomodi”; i passaggi sulla “grande unità nazionale”, la “sicurezza nazionale” e la “morale sociale” inseriti nel testo di legge sono volutamente vaghi e possono essere utilizzati arbitrariamente per reprimere gli attivisti politici. L’articolo 32, in particolare, afferma che gli appuntamenti religiosi devono «avere lo spirito di unità nazionale», e l’articolo 22 che l’insegnamento della religione deve includere «la storia e la legge vietnamita» come materie fondamentali. In una parola, le religioni devono restare sotto il controllo statale e possono essere represse in caso minaccino la tanto proclamata “unità nazionale”.

Hanoi riconosce ufficialmente 39 organizzazioni religiose per un totale di 24 milioni di seguaci, ma questo negli anni non ha impedito al governo di formulare accuse arbitrarie per imprigionare o perseguitare i seguaci, in particolare dei gruppi non registrati. Spesso i ministri di culto si lamentano che le funzioni religiose sono interrotte dalla polizia mentre vengono fatti controlli a campione dei documenti personali dei parrocchiani.

Padre Nguyen Van Ly, uno dei principali sostenitori del Consiglio interreligioso, è stato rilasciato da una prigione vietnamita nel maggio scorso dopo aver scontato otto anni di carcere. In un altro caso, la persecuzione dell’attivista protestante Tran Thi Hong ha attirato l’attenzione dei funzionari delle Nazioni Unite per i diritti umani, che hanno esortato il governo a fermare le violenze contro di lei, più volte arrestata e torturata. Il marito, direttore della luterana Alliance Church Vietnam-USA, è stato a sua volta imprigionato nel 2011.

Le religioni non autorizzate se la passano anche peggio. I seguaci delle minoranze cristiane De Ga e Ha Mon hanno affrontato la persecuzione e sono fuggiti nella vicina Cambogia. Rami della chiesa Cao Dai, la comunità buddista Hoa Hao, chiese protestanti e cattoliche indipendenti negli altopiani centrali, i templi buddisti Khmer Krom e la Chiesa buddista unificata del Vietnam hanno vissuto sulla loro pelle la repressione del regime.

Questa legge ha provocato per la prima volta anche dissidi interni al Partito comunista: Khuc Thi Duyen, vicepresidente dell’Assemblea Nazionale, ha messo in guardia contro i regolamenti «inappropriati e potenzialmente ingiusti nei confronti delle istituzioni religiose», e ha criticato la disposizione secondo la quale le comunità religiose sarebbero riconosciute tali solo dopo dieci anni di attività.

Immagine: Von Toirelb – Eigenes Werk, Gemeinfrei, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3251722