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Cuba – Tatuare la storia

Un evento raro in Italia vede trentuno artisti cubani esporre in Italia, ancora fino al 18 dicembre negli spazi espositivi di ZAC Zisa Arti Contemporanee di Palermo. Un percorso che racconta della vita politica e della vita quotidiana; sono trentuno artisti, tra i più noti nel panorama internazionale, che con pochi mezzi espressivi riescono a raccontare il loro vissuto e la loro realtà in maniera sempre diversa e originale. Il curatore è Diego Sileo.

Qual è il suo sguardo sulla Cuba di oggi?

«Il mio è sempre stato uno sguardo di grande simpatia. Nel nostro immaginario Cuba è una perla, una zona geografica che, forse per via degli ideali romantici della rivoluzione ha sempre suscitato grande fascino. Mista alla simpatia c’è anche un vero e proprio interesse storico scientifico perché è effettivamente stato un vero e proprio esempio, rimasto unico nella storia geopolitica del secolo passato e di questo nuovo secolo appena iniziato, oltre che nel mondo dell’arte».

In che modo attraverso l’arte viene fuori la realtà storico politico di Cuba oggi?

«Attraverso i trentuno artisti selezionati in mostra e le opere presenti, ai cantieri della Zisa abbiamo voluto, insieme a Giacomo Zasa l’altro curatore, provare a raccontare bene la realtà di quest’isola, senza pregiudizi, senza cliché, senza ipocrisie. Crediamo di essere riusciti a raccontare in maniera veritiera e, tra l’altro, senza censure, quello che sta succedendo a Cuba».

Si parla di “radice performativa” dell’arte contemporanea cubana, in che senso?

«A partire dagli anni ’70 in poi nessuna altra cultura come quella cubana è stata caratterizzata da quest’aspetto, dettato fondamentalmente da una mancanza di altri mezzi di espressione. Questi artisti cubani non avendo la possibilità e, a volte, non avendo il diritto di provare a comprare tele o mezzi per i video o altri strumenti utili, per esempio, alla scultura, hanno semplicemente usato il loro corpo per potersi esprimere e questo ha ovviamente accentuato e incrementato l’aspetto performativo. In maniera collettiva sono tanti i gruppi che dagli anni ’70 in poi si sono formati, si sono sviluppati nello scenario dell’arte contemporanea cubana fino poi all’ascensione delle singole personalità come Ana Mendieta, Tania Bruguera e le ultime generazioni di performer».

Ci sono state difficoltà per allestire la mostra?

»Non possiamo nascondere che lavorare con Cuba è ancora molto difficile soprattutto per far uscire le opere dal paese. È difficile poi lavorare con un gruppo di artisti che risiede a Cuba e che ha ancora poco accesso ai mezzi di comunicazione più moderni; potrà sembrare una stupidaggine, magari non ci si potrà credere, ma la comunicazione non è facile perché gli artisti hanno un accesso a internet ancora molto precario quindi anche solo mandare un’immagine è un problema.

Le difficoltà ci sono state soprattutto nella fase organizzativa della mostra, compreso avere nel percorso alcuni temi molto espliciti che hanno visto nascere qualche voce contraria. La fase allestitiva è stata più semplice».

Se si pensa a Cuba da distante viene in mente una situazione un po’ cristallizzata nel passato ma parallelamente l’arte contemporanea è viva e attuale. Si può parlare di una specie di mondo dell’arte che vive attraverso vasi comunicanti che oltrepassano le differenze storico politiche?

«Questo lo si può dire chiaramente nonostante la ristrettezza dei mezzi, nonostante anche la chiusura del paese. Vero è che c’è sempre stata, ed è questa la particolarità dell’arte contemporanea cubana, una vivacità e una fertilità dal punto di vista creativo impressionante, a mio parere unico nel panorama dell’arte latino americana e questo sicuramente grazie a una loro capacità intrinseca ma anche al fatto che Cuba è sempre stata una sorta di crocevia di passaggio interessante per tanti artisti, intellettuali, curatori, direttori di musei. La biennale de L’Avana, tra le tante biennali esistenti, oggi è sicuramente una della più interessanti, che dà la possibilità a molti artisti che vivono e lavorano a Cuba di entrare in contatto e confrontarsi con realtà estere e, in un secondo momento, di poter viaggiare, sebbene sia ancora difficile perché ancora possono viaggiare solo se invitati da istituzioni estere. Però il confronto, ciò che crea e innesca la biennale dell’Avana è fondamentale per loro».

Il visitatore che vede la mostra può superare il mito che si è creato intorno a Cuba?

«Questo mi sento di poterlo dire chiaramente perché non abbiamo assolutamente fatto sconti a nessuno, neanche ai miti della rivoluzione. Molti degli artisti presenti in mostra ne parlano a distanza di anni con uno sguardo anche critico: molti di questi ideali si sono rivelati un fallimento e loro lo dichiarano senza preoccupazione. Abbiamo voluto mostrare questo aspetto perché con uno sguardo più lucido, più razionale, ci si può rendere conto di come una certa ideologia sia effettivamente fallita non solo a Cuba ma anche fuori. Molti di questi artisti, anche quelli che continuano a vivere e lavorare a L’Avana, lo sanno, ne sono consapevoli e con un linguaggio spesso molto ironico denunciano questo aspetto, lo dichiarano a gran voce e noi non lo abbiamo nascosto».