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Pakistan: una legge contro le conversioni forzate

Nella provincia di Sindh, una delle quattro del Pakistan e la seconda per numero di abitanti, sarà vietato ai minori di cambiare religione: la legge, votata il 24 novembre, è un tentativo di limitare le conversioni forzate delle ragazze, spesso fatte sposare contro la loro volontà.

Un provvedimento fortemente voluto dalle minoranze religiose del paese, sovente oggetto di discriminazioni da parte della maggioranza islamica conservatrice: da oggi chiunque tenti di convertire un ragazzo o una ragazza sarà passibile dell’ergastolo. Il testo è passato all’unanimità nell’assemblea legislativa provinciale di Sindh, e inoltre impone a chi voglia cambiare fede un’attesa di 21 giorni prima di registrare la conversione, per dare l’opportunità al credente di riflettere sulla propria scelta.

La legge ricorda espressamente che è «necessario criminalizzare le conversioni forzate e proteggere le vittime di questa pratica ignobile», un problema che riguarda tutti gli appartenenti alle minoranze che vivono nella Repubblica islamica del Pakistan.

In particolare, nella provincia di Sindh succede spesso che le ragazze indù vengano portate via dalla famiglia prima dei 18 anni e fatte sposare – previa conversione – a dei musulmani. Secondo il Movimento per la Solidarietà e la Pace, questa violenza colpisce centinaia di minorenni ogni anno.

Si comprende quindi perché questa legge sia stata salutata come un evento storico e un argine ai soprusi e alle prepotenze perpetrate dalla maggioranza sunnita.

Su 200 milioni di abitanti in Pakistan, infatti, il 75% è sunnita, il 20% sciita e il resto si divide fra indù, cristiani, sikh e gruppi islamici minoritari. In particolare, sciiti, cristiani e ahmaditi (una branca dell’Islam non riconosciuta dalle autorità di Islamabad) sono anche le principali vittime degli attacchi dei gruppi jihadisti presenti nel Paese.

Immagine: via pixabay.com