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“Non una di meno”: una grande manifestazione per dire no alla violenza contro le donne

Le ricorrenze rischiano sempre di essere un’occasione per elencare numeri e percentuali, e la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita per il 25 novembre dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel ’99, non è da meno. Quante le donne uccise (se più o meno dell’anno o della decade precedente), quante quelle violentate o molestate, fisicamente o psicologicamente. Ma quest’anno non basta segnalare quante mancano all’appello: bisogna trovare un modo per ribellarsi a uno stato delle cose che sembra non voler cambiare, nonostante le campagne di sensibilizzazione, le scarpette rosse esposte nelle piazze, i posti vuoti lasciati negli spazi pubblici e anche nelle nostre chiese.

Quest’anno la chiamata a una mobilitazione generale, che inizia con un corteo il 26 novembre a Roma, prova a segnare il passo in un modo diverso. Con i corpi, con la presenza fisica e poi con la riflessione sui metodi di intervento. “Non una di meno” è lo slogan che accompagna questa manifestazione nazionale, promossa dall’Udi, l’Unione donne italiane, la ‘Rete Dire’, che riunisce 77 centri antiviolenza, e “Io Decido”, che raccoglie i gruppi del femminismo romano, e a cui hanno aderito tantissime associazioni, centri antiviolenza e contro la tratta, collettivi femministi e queer, case delle donne, spazi autogestiti. Saranno presenti con uno striscione anche le donne della Fdei, la Federazione delle donne evangeliche in Italia, che anche quest’anno ha dato il suo contributo con la campagna sui “16 giorni per vincere la violenza” e la diffusione di due petizioni, una per uomini e una per donne, per chiedere al Dipartimento delle Pari Opportunità del Governo italiano di attivarsi con urgenza contro i femminicidi e ogni sorta di sopruso di genere.

«La manifestazione sarà un grande successo – dice convinta Gianna Urizio, giornalista evangelica, attiva nell’associazione Donne In genere – perché nasce da un malessere diffuso, che coinvolge le donne nel profondo: donne e ragazze che vivono sulla loro pelle la precarietà della salute, del lavoro e che vedono nella violenza la punta dell’iceberg di una condizione femminile complessa e problematica, che negli ultimi anni ha fatto molti passi indietro». «Sono nuovi femminismi che appartengono a realtà non facilmente identificabili e che in Italia non si riconoscono in un partito o in un movimento – spiega ancora Urizio – un magma indistinto che non si sente rappresentato dalle forze politiche e associa il patriarcato alle politiche neoliberiste». Donne giovani che si muovono agevolmente sui social e che in poco tempo sono riuscire a rendere virale la manifestazione, segnata da partecipazioni trasversali (anche Radio Vaticana ha dato la sua adesione), non separatista come volevano alcune, ma aperta anche agli uomini. Con un netto rifiuto di ogni strumentalizzazione politica (il referendum è dietro l’angolo) o sindacale.

Solidarietà alle donne italiane è arrivata dai movimenti femministi di tutto il mondo, in particolare dalle donne polacche, che il mese scorso sono scese in strada a milioni per manifestare contro l’inasprimento della legge sull’aborto e sono riuscite a bloccare l’iter in parlamento. A chi si chiede perché proprio adesso, Gianna Urizio sottolinea che «è il momento giusto. Le donne tessono di continuo un’opera di resistenza ma ci sono occasioni in cui questa lotta sotterranea viene alla luce, come è successo con la manifestazione “Se non ora quando” del 13 febbraio 2011. Ci sono le tante donne uccise ma, a fronte della violenza che si perpetua, i centri antiviolenza chiudono per mancanza di fondi e la salute riproduttiva non viene tutelata: c’è una evidente mancanza di risposte politiche che ha spinto le donne di ogni età e condizione sociale a una mobilitazione collettiva».

Una protesta che diventa riflessione: il giorno seguente, infatti, a partire dalle 10, nella scuola elementare Federico Di Donato (via Nino Bixio 83) si terranno dei tavoli di discussione su diversi temi (fra gli altri, la narrazione della violenza sui media, l’educazione alla sessualità, il diritto alla salute, i percorsi di uscita dalla violenza, il sessismo nei movimenti) per elaborare delle proposte concrete da presentare al governo. Ci sono già più di mille adesioni di persone interessate a partecipare al dibattito: segno che la violenza contro le donne è una priorità. Speriamo che se ne accorgano tutti.

Immagine: via flickr.com