img_hskifr

«Un giorno una preghiera». Perché?

“Quando pregate, non usate tante parole” (Matteo 6,7). E’ questa la raccomandazione con cui Gesù introdusse “il Padre Nostro” agli apostoli – l’unica preghiera da lui direttamente insegnata – ed è a questa indicazione che vuole rifarsi “Un giorno una preghiera”, una piccola raccolta di preghiere ricavate dai lezionari «Un giorno una parola» che la Claudiana ha pubblicato dal 1995 a oggi. Nella sala valdese della chiesa di piazza Cavour, Luca Maria Negro, pastore battista, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) e curatore del volume assieme alla diacona metodista Karola Stobäus, ha presentato le ragioni della pubblicazione e i criteri che hanno animato la selezione dei testi. «Questo volumetto nasce dalla consapevolezza che si prega poco: si prega poco nelle nostra case, nelle nostre famiglie, si prega poco persino nelle nostre chiese. Le preghiere qui raccolte sono un mix voluto di antico e di moderno, di grandi autori come Agostino e Lutero e di semplici cristiani sconosciuti: uomini e donne di tutti i continenti e di tutte le confessioni. Abbiamo scelto le parole che ci sembravano più adatte ad instaurare un dialogo quotidiano con Dio. In questo mondo così veloce e tecnologico, che procede al ritmo della globalizzazione, abbiamo pensato che il formato del ‘tweet’ venisse incontro alle nostre intenzioni».

Invitato a presentare «un piccolo ma prezioso libro», il teologo Paolo Ricca ha colto l’occasione per fissare qualche riflessione sull’atto della preghiera in sé: “la pratica più universale che ci sia, ma al contempo per nulla ovvia: perché Dio conosce ogni cosa e perché la nostra lode non gli è necessaria”. Secondo il teologo valdese, il senso profondo della preghiera risiederebbe dunque nella spontaneità di questo bisogno: “la preghiera non è ovvia ma è spontanea perché l’essere umano è una domanda e la preghiera non è altro che la formulazione di questa domanda”. Ricca ha ricordato come la prima preghiera della Bibbia sia rivolta da Abramo in favore di Sodoma, la città peccatrice per eccellenza. Si tratta di una preghiera d’intercessione per una città perduta – «una preghiera altruista, la più bella che ci sia» –, ma anche un dialogo tra Abramo e Dio – «pregare non significa  soltanto parlare ma anche tacere ed ascoltare» – e infine una preghiera non esaudita, perché alla fine, lo sappiamo, Sodoma venne distrutta.  «Apprendere che la prima preghiera della Bibbia rimane inesaudita forse non è consolatorio, ma è altamente istruttivo, perché la preghiera non esaudita accompagna tutta la nostra vita. Un cammino – ha concluso Ricca – durante il quale non smettiamo d’imparare, d’interrogarci, di pregare. Perché che sia una preghiera meditata o una meditazione orante, la preghiera è anzitutto un punto di domanda, la ricerca di un Tu».

Immagine: Nicola Pedrazzi