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Il Centro di documentazione metodista: “il sogno dei nostri bisnonni, un progetto per le nuove generazioni”

A margine del V convegno organizzato dal Centro di documentazione metodista (Cdm) abbiamo incontrato Massimo Aquilante, direttore del Cdm e già presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Un’occasione per fare il punto su un’istituzione recente ma già estremamente attiva.

Come, quando e perché nasce il Centro di documentazione metodista?

«Com’è noto, dal 1979 i metodisti vivono all’interno di un patto d’integrazione con le chiese valdesi: un’unione felice, positiva e funzionale, di cui però rappresentano la componente minoritaria. Da qui l’esigenza d’investire positivamente il nostro peculiare bagaglio storico, spirituale, culturale all’interno dell’unione. Il Cdm nasce così: come tentativo vero e reale di fare vivere l’identità metodista attraverso un’istituzione che aiuti le nostre chiese a trasmettere ai giovani la passione per quello che è stato il metodismo in Italia. L’idea di un centro con funzioni simili risale ai primi anni del 2000, ma la sua costituzione formale è stata sancita dal Sinodo nel 2009. Si tratta di un’operazione culturale di lungo respiro, tuttora in itinere, che ha il merito di guardare alle nuove generazioni».

Che tipo di lavoro svolge il CDM?

«In primo luogo d’archivio, perché senza fonti non esiste ricerca storica. Come sapete il metodismo italiano ha due anime, inglese e americana, dunque sono per noi vitali le acquisizioni dei documenti inventariati negli Usa e nel Regno Unito. In generale, gli archivi degli americani in Italia sono abbastanza ricchi; per quanto concerne i documenti inglesi invece le cose sono più complesse, perché durante la guerra la sede della chiesa wesleyana in via della Scrofa venne bombardata e il suo archivio andò distrutto. I materiali sinora raccolti, in formato digitale, sono già a disposizione all’interno di una sezione della Biblioteca della Facoltà Valdese. Ciò premesso, la tessitura di proficue relazioni con le madrepatrie è un lavoro importante sotto diversi aspetti: dalle possibili collaborazioni con case editrici anglofone all’altrettanto fondamentale raccolta di bibliografia (storia, sistematica, etica…) di cui in Italia ancora non disponiamo. Da questa complessa operazione di raccordo e di memoria contiamo possa presto nascere una nostra produzione intellettuale».

I Convegni che da cinque anni il Cdm organizza insieme all’Università La Sapienza ne sono già un esempio concreto…

«Direi proprio di sì. La collaborazione con La Sapienza comincia nel 2011, organizzammo il primo convegno nell’anno dei festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia, per noi metodisti coincidenti con i 150 anni dall’insediamento della prima missione weysleiana. Dopodiché, grazie all’operazione di raccordo del Professor Paolo Naso, docente presso il Dipartimento di Storia Culture e Religioni, siamo riusciti ad istituire all’interno dello stesso dipartimento una borsa di dottorato di studi protestanti. La borsa è elargita dal Cdm, che ogni anno fa richiesta all’otto per mille della nostra chiesa. Ma il dottorato è a tutti gli effetti un dottorato de La Sapienza. A ben vedere, era questo il sogno risorgimentale dei nostri bisnonni: formare al protestantesimo, con una “testa diversa”, le nuove intelligenze italiane. In estrema sintesi, all’accademia italiana mettiamo a disposizione un lavoro scientifico di livello, alle madrepatrie offriamo un impegno di raccordo e di relazione, all’interno delle nostre chiese svolgiamo un’operazione di risveglio e d’interesse. Lo facciamo per i nostri giovani, affinché si sentano figli del metodismo italiano, eredi e perpetuatori di una storia molto particolare, che io amo definire “garibaldina”».

Immagine di Pietro Romeo