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Lutero «ribelle» e «profeta»?

Mantenendo una coraggiosa promessa di alcuni anni fa, la Claudiana ha finalmente tradotto e pubblicato la più recente e ormai famosa biografia di Lutero prodotta dalla cultura tedesca: Martin Lutero. Ribelle in un’epoca di cambiamenti radicali*, di Heinz Schilling, edita in Germania nel 2012, giù uscita in quarta edizione e tradotta in molti paesi.

Il nostro docente di Storia alla Facoltà valdese di Teologia di Roma l’ha definita: «Una panoramica affascinante della vita di Lutero, [che] rilancia una sua interpretazione come figura chiave nella storia della rivendicazione della libertà di coscienza»1.

L’autore è un rinomato storico tedesco, già presidente del Verein ed editore dell’Archiv für Reformationsgeschichte (per la storia della Riforma). Schilling fonda la sua opera su una vastissima bibliografia (31 pagine!) e una conoscenza davvero non comune degli scritti di Lutero e dei Discorsi a tavola, che cita spesso opportunamente a conferma delle sue descrizioni. Molto approfondita anche la sua conoscenza del mondo politico-sociale e dell’ambiente culturale del tempo in ci appare la «meteora» Martin Lutero. Egli si considera uno storico indipendente che ci tiene a distinguersi dagli storici confessionali, che definisce «evangelici». Infatti la sua opera è quanto di meno apologetico si possa immaginare.

Per lui l’eredità che Lutero ha lasciato alla modernità è «la riscoperta di religione e fede come forze autonome per il singolo e per la società». E aggiunge: «Lutero trasformò la diffusa secolarizzazione della religione in una presenza fondamentale della religione nel mondo. Il luogo più importante e principale della fede e dell’attività da essa generata […] fu la quotidianità del mondo. Qui il singolo cristiano, come la cristianità nel suo complesso, dovevano vivere la religione e dimostrare la propria fede» (pp. 547-548).

La descrizione della vita e dell’opera di Lutero è particolarmente ricca di dettagli. Anche chi avesse già letto le precedenti biografie di Lutero può trovare nell’opera di Schilling «elementi forse non ignorati ma comunque spesso trascurati» (L. Vogel). Voglio indicarne alcuni.

Spesso ci siamo chiesti: perché Lutero ha scritto il «duro libretto» contro i contadini violenti il 6 maggio 1525, quando ormai si era già scatenata la repressione da parte dei prìncipi? Non avrebbe fatto meglio ad astenersi dal prendere posizione ed evitare di incitare alla violenza chi non ne aveva proprio bisogno? Ora apprendiamo da Schilling che Lutero era stato informato che i prìncipi di Sassonia esitavano: Federico il Savio, sul letto di morte, aveva esortato a «cercare ogni via con bontà»; il duca Giovanni puntava ancora sulla trattativa e i conti di Mansfeld sembravano temporeggiare. Lutero ebbe timore che Satana (Thomas Müntzer) potesse trionfare sull’Evangelo appena riscoperto e incitò i prìncipi alla repressione con le durissime parole che gli saranno rimproverate per tutta la vita.

Un secondo caso è l’impegno personale di Lutero per la disciplina ecclesiastica nella chiesa, confermata dall’episodio (raramente citato) della scomunica nei confronti della suprema autorità militare e giudice di corte a Wittenberg, Hans von Metzsch, per la sua vita moralmente scandalosa. A questo scopo Lutero non pensò di creare un apposito organismo (come farà Calvino a Ginevra) ma «si avvalse di nuovo della forza della parola predicata e del richiamo all’autorità secolare» (L. Vogel).

Un altro aspetto molto positivo della biografia di Schilling è l’approfondimento della concezione luterana sul rapporto fra chiesa e potere temporale: la dottrina dei due regni con cui Dio governa il mondo. Notevole l’intuito politico di Lutero consistente nell’appoggiarsi al potere crescente degli Stati territoriali. Si potrebbe continuare a lungo nell’enumerare i molti pregi di questa vasta opera che tuttavia – come qualsiasi opera umana – non è esente da qualche difetto.

Il primo è lo scarso interesse per il pensiero teologico di Lutero. Non parla della sua theologia crucis e della sua evoluzione nel corso degli anni. Per fortuna la Claudiana sta per pubblicare un «classico» tedesco in materia: La teologia di Martin Lutero di Oswald Bayer, che potrà opportunamente integrare questa biografia.

Altro aspetto criticabile è l’insistenza su Lutero «ribelle» sin dal titolo. Ma ribelle a chi o a che cosa? Ha ragione Sergio Rostagno quando scrive: «Non si capisce su quali basi si possa definire ribelle un docente che espone le proprie teorie in polemica con altri docenti e si batte per le proprie idee»2. L’insistenza sul ribellismo di Lutero colora anche alcuni episodi molto discussi della sua vita: si veda lo scopo del suo viaggio a Roma ove – secondo Schilling – Lutero avrebbe sostenuto la posizione dei conventi agostiniani ribelli contro la volontà unitaria del priore Staupitz, mentre, secondo un’interpretazione più accreditata, Lutero avrebbe invece appoggiato a Roma la tesi del suo affezionatissimo priore.

Anche la caratterizzazione di Lutero come «profeta» fin dai primi tempi della sua lotta, cioè la sua autocoscienza di essere chiamato da Dio a una battaglia finale a favore dell’Evangelo contro Satana, andrebbe alquanto attenuata. Altri biografi dimostrano che, soltanto a partire dal 1530, Lutero espresse quella autocoscienza, mentre prima era ancora alla difficile ricerca della sua via. A questo proposito Schilling sostiene che, nell’ottobre del 1517, Lutero avrebbe subito fatto stampare dal suo tipografo le 95 Tesi sulle indulgenze «in forma di cartello» per comunicarle al pubblico (p. 136). In realtà «fino al giorno d’oggi non esiste una prova dirimente di questa stampa» (L. Vogel).

È da criticare anche la sua tendenza a sostenere che molte idee o riforme di Lutero – per esempio il sacerdozio comune dei credenti – fossero già state attuate in ambiente cattolico (nella Devotio moderna). E aggiunge, citando Oberman: «Né l’“ascesi intramondana”, né la cosiddetta etica del lavoro protestante che l’accompagna erano nuove» (p. 22). Fra i cosiddetti «precursori» di Lutero arriva a includere perfino l’Ordine dei Teatini, fondato a Roma nel 1524 dal prelato veneziano Gaetano da Thiene, «un gruppo di chierici e di laici di alta cultura che […] cercavano forme di esistenza cristiana nuove, vive e sincere […], avevano elevato l’Evangelo a criterio di vita e che può pertanto essere ritenuto come un “evangelismo” italiano» (p. 129)! Peccato però che anima di quei presunti «precursori» di Lutero fosse quel vescovo Gian Pietro Carafa che diventerà poi papa Paolo IV, il papa-inquisitore più ostile ai protestanti, che riempì le sue prigioni di simpatizzanti per l’Evangelo.

Piccoli appunti critici necessari ma che certamente non sminuiscono il valore di una grande e bella biografia.

* H. Schilling, Martin Lutero. Ribelle in un’epoca di cambiamenti radicali. Torino, Claudiana, 2016, pp. 608, euro 39,50.).

1. L. Vogel, studio critico in Protestantesimo vol. 69/4, anno 2014, p. 391.

2. S. Rostagno, Doctor Martinus, Torino, Claudiana, 2015, p. 35, nota 4.

Foto: Falco via Pixabay