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Una stanza aperta a tutti

Una “stanza del silenzio” per raccogliersi in preghiera, elaborare la sofferenza o il lutto, o semplicemente stare tranquilli a pensare. Un luogo interculturale, dove chiunque possa esprimere la sua fede in un momento di difficoltà. Nascerà all’interno dell’Ospedale Maggiore di Parma, sulla scorta di esperienze simili già collaudate in Piemonte (l’Ospedale “Molinette” di Torino è stato il primo in Italia a inaugurare una “stanza del silenzio”) e in Toscana.

A sostenere l’idea, un gruppo di lavoro nazionale per la “stanza del silenzio e dei culti”, che si è costituito lo scorso luglio a Modena ed è sostenuto da una rete di docenti universitari, medici, operatori sanitari e, naturalmente, dalle comunità religiose. L’obiettivo è, appunto, dotare le strutture sanitarie di un luogo dove i pazienti e i parenti in visita – e, perché no, anche medici e infermieri – possano trovare ristoro spirituale: uno spazio neutro per chi non crede, senza simboli religiosi, o una vera e propria “stanza dei culti” aperta a tutte le confessioni, dove i simboli non vengono esibiti, però sono messi a disposizione di quanti li richiedano. Esiste anche la possibilità di pensare una via di mezzo, quindi una stanza che può essere luogo laico di silenzio che, all’occorrenza, viene impiegato come stanza dei culti.

A Parma il progetto ha coinvolto la diocesi, la chiesa metodista, gli avventisti del settimo giorno, i Sikh, i musulmani, la comunità ebraica e Bahá’í , gli induisti, la chiesa ortodossa greca e rumena e i buddisti. Il dialogo non ha escluso anche diverse associazioni, come l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (Uuar), l’associazione Mario Sabini e l’Aisla (associazione italiana Sclerosi amiotrofica).

«La chiesa metodista è stata coinvolta fin dalla genesi del progetto. Si è iniziato a riflettere sulla questione più di un anno fa in collaborazione con Alessandro Bonardi e sulla scorta di esperienze similari in altre città. Ne è stato discusso approfonditamente sia nel consiglio delle chiese cristiane di Parma, sia nel Forum Interreligioso della città emiliana dove lo scorso maggio è poi avvenuta una prima adesione formale al progetto», dice Mirella Manocchio, presidente Opcemi e oggi responsabile della chiesa metodista di Roma, ma che fino a settembre era pastora proprio a Parma. «La nostra chiesa, insieme ad altre denominazioni cristiane e confessioni religiose, ha ritenuto fosse necessario avere in una struttura pubblica un luogo aperto a tutti, non asettico certamente ma non caratterizzato confessionalmente, dove fosse possibile per i credenti raccogliersi in preghiera o per chi non lo è avere uno spazio per riflettere in silenzio. Al momento della strutturazione del progetto si è pure studiata la possibilità di avere all’interno della stanza dei momenti cultuali gestiti e organizzati dalle differenti fedi che hanno appoggiato l’idea», continua la pastora. «Ritengo che questo sia un passo importante per rendere praticata nei fatti – la legge ancora non esiste – l’idea costituzionale che ogni essere umano presente sul territorio della Repubblica possa esprimere liberamente la propria appartenenza religiosa e il proprio pensiero. Credo sia anche un passo in avanti nel favorire una maggiore interazione, costruttiva e arricchente, tra i differenti gruppi nazionali e religiosi presenti nella piccola città emiliana aiutandola a essere davvero una città plurale e interculturale. La chiesa metodista di Parma-Mezzani ha fatto di questa idea negli ultimi decenni un elemento importante della sua testimonianza di fede evangelica nel territorio parmense a cominciare dalla sua composizione interna e dalla creazione di un centro di accoglienza per migranti. Questa iniziativa ne è, in un certo qual senso, un suo sviluppo coerente», conclude Manocchio.

All’estero, si tratta di una realtà consolidata da anni: negli Stati Uniti ogni ospedale è dotato di una “stanza del silenzio” e in alcuni paesi europei, come in Germania, la si trova anche negli alberghi o nelle università. Un luogo in cui si rispetta il dolore di ciascuno e i diversi modi di manifestarlo non può che diventare un’occasione di incontro e magari di reciproco conforto. Un antidoto alle divisioni e ai muri, e un passo avanti verso la conciliazione delle differenze culturali e religiose.

Foto via Flickr