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Tortura senza reato. A che punto siamo?

A dicembre saranno trascorsi 28 anni da quando l’Italia si è impegnata a introdurre nel proprio codice penale il reato di tortura. Era infatti il dicembre del 1988 quando il nostro Paese mise la propria firma sulla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, impegnandosi ad inserire questo reato nel proprio corpo normativo.

Nel 2013, all’inizio di questa legislatura, una proposta di legge firmata dal senatore Pd Luigi Manconi aveva iniziato il suo iter parlamentare con grandi speranze. Approvata al Senato nel marzo 2014, successivamente fu licenziata anche dalla Camera, all’indomani della condanna dell’Italia per le torture nella scuola Diaz da parte della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, nell’aprile del 2015. Il testo, qui modificato, fu spedito nuovamente al Senato. «Oggi siamo a un punto morto – racconta Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone, associazione che da anni si occupa dei diritti delle persone in carcere, – come accade purtroppo da vent’anni a questa parte. È una storia diversa dalla normale lentezza parlamentare, in questo caso è un’assenza colpevole».

In sintesi, la discussione si è bloccata su un punto apparentemente poco significativo, eppure centrale. «Ci siamo bloccati su una vocale – racconta Marietti –, perché il punto maggiore di discussione è stato se la tortura dovesse consistere in una singola violenza fisica, psicologica, minacce, eccetera, o in violenze, al plurale. Secondo alcuni, era inaccettabile pensare a un torturatore che usasse una singola violenza, per quanto grave, e con questa motivazione si è sostanzialmente deciso di mandare a morire questo testo». Tuttavia, la definizione offerta dal testo delle Nazioni Unite è piuttosto chiara, e la parola violenza è utilizzata al singolare, «altrimenti – ricorda Susanna Marietti – se una squadretta di agenti si mettesse d’accordo per infliggere un solo colpo a testa, a turno, allora potrebbe evitare l’accusa di tortura perché ognuno avrebbe usato una sola violenza, al singolare».

Eppure in Italia non sono mancati i casi di tortura per i quali le vittime non hanno ricevuto giustizia. Oltre alla scuola Diaz, anche gli episodi di violenza avvenuti nella caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova del 2001 e le torture avvenute nel carcere di Asti nel 2004 sono attualmente all’attenzione della Corte europea dei diritti umani che, a breve, si pronuncerà su entrambi.

Tra le voci contrarie a questa legge, osteggiata in particolare tra le file parlamentari della destra e del centrodestra, spiccano quelle dei sindacati di polizia. Per esempio il Siulp, Sindacato Italiano Unitario Lavoratori Polizia, scriveva a luglio sul proprio sito che «si rischia di legare le mani a chi è impiegato quotidianamente nella tutela dell’ordine pubblico nelle carceri e nel contrasto al crimine organizzato e diffuso per assecondare demagogie ideologiche che guardano con sospetto l’operato delle Forze dell’Ordine e delle Forze Armate dimenticando che esse sono a presidio della democrazia e del principio di legalità del nostro Paese». Per Susanna Marietti e per l’osservatorio Antigone si tratta di una distorsione. «Questa legge lederebbe soltanto il diritto di torturare, come dice la parola. Il fatto è che l’Italia è piena di poliziotti e Carabinieri onesti, di forze dell’ordine oneste, che non hanno nessuna paura di vedere attuata una legge che introduca il reato di tortura. Dall’altra parte, invece, c’è qualcuno a cui questo senso di impunità dà forza».

Questa mattina Antigone, insieme a Magistratura Democratica, all’Unione delle Camere Penali e ad altre 70 sigle della società civile, ha tenuto questa mattina un presidio in Piazza Montecitorio per chiedere al Presidente del Consiglio Matteo Renzi e al Ministro della Giustizia Andrea Orlando di farsi garanti dell’approvazione del reato di tortura. «Abbiamo avuto un amplissimo fronte di adesione – racconta la coordinatrice nazionale Susanna Marietti – , e anche questo la dice lunga su quanto poi si senta questa mancanza nella società. Ognuno di noi ha esposto un manifesto con un nome, senza neanche un cognome. Il più famoso è quello di Stefano, ma ce ne sono tanti altri che erano presenti nella caserma di Bolzaneto, nomi che non hanno ancora avuto giustizia, anche se per fortuna non sono finiti tragicamente come Stefano».

«Ci auguriamo – conclude Marietti – che si torni presto in aula e ci auguriamo che sia Matteo Renzi in persona a dare un segnale, a dire che questa legge va fatta, come fece mesi e mesi fa con un famoso tweet nel quale scrisse “approvate subito il reato”. Peccato che poi questo tweet si è perso in mesi di silenzio. Stiamo veramente discutendo sulla pelle delle persone, sulla pelle dei morti, di queste assurdità?».

Foto: via Antigone