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Chi voterà il meno religioso dei candidati?

Secondo il Pew Research Center (centro di ricerca indipendente americano) l’appartenenza o meno a una religione, l’assiduità con cui l’elettore partecipa agli eventi religiosi costituisce il secondo indicatore di voto, un fattore affidabile per capire come un lettore voterà. Il primo è l’appartenenza razziale. In generale, dice Greg Smith, il responsabile del dipartimento di ricerca sulle religioni, «quanto più la gente va in chiesa, in sinagoga o alla moschea tanto più è probabile che voti repubblicano, mentre, all’opposto, la maggioranza dei votanti democratici ha un rapporto molto meno assiduo con le chiese, e seppur si dichiarino “spirituali” non sono religiosi».

Questo dato è sempre stato vero nelle elezioni americane, ma lo è ancora di più oggi. La campagna elettorale americana del 2016 è unica per molti fattori, che forse è addirittura inutile ricordare. C’è però un fattore nuovo e significativo: è paradossale che Donald Trump sia sostenuto dagli evangelical, quelli che dichiarano di votare secondo i propri principi religiosi. È paradossale perché Donald Trump è considerato dalla maggioranza dei cittadini statunitensi come il meno religioso tra tutti i candidati che hanno partecipato alle primarie. È curioso perché le loro tematiche tradizionali – come la legge contro l’aborto, contro i matrimoni tra persone dello stesso sesso, la cosiddetta libertà di religione (l’obiezione di coscienza secondo la quale un cittadino può rifiutarsi di fornire un servizio per questioni religiose, come per esempio vendere i fiori per un matrimonio gay) – hanno poco spazio nel programma del miliardario, che su questi temi ha cambiato idea più volte e in campagna elettorale li ha lasciati al suo candidato-vice Mike Pence.

Ancora più paradossale è il fatto che, dopo lo scandalo di questi giorni sulle frasi sessiste, mentre decine di parlamentari repubblicani, l’ex-candidato repubblicano John McCain, l’ex presidente Bush padre, Paul Ryan, speaker dei Repubblicani, hanno ritirato il loro sostegno a Trump, i sostenitori più tradizionali della famiglia non abbiano reso neanche una dichiarazione pubblica. Lo scandalo delle registrazioni contenenti frasi offensive della dignità femminile, sessiste e semplicemente volgari, non ha prodotto un cambiamento significativo nel loro orientamento di voto.

C’è da chiedersi quale sia il loro livello di sopportazione. Che cosa dovrebbe fare ancora Trump per alienarsi questo gruppo religioso? Jerry Falwell, presidente della Liberty University (l’università più cristiana d’America, secondo il suo sito) ha sostenuto che Trump è uno dei più grandi statisti americani di tutti i tempi. Essendo un’università, la Liberty può permettersi di sostenere un candidato – le istituzioni religiose e non-profit negli Stati Uniti invece non possono farlo apertamente, pena la perdita dell’esenzione fiscale. Il professor Mark Silk, del Trinity College di Hartford (Connecticut), ha pubblicato alcune domande per i leader religiosi conservatori. Tra queste la più classica: che cosa avrebbe fatto Gesù? A quanto sembra, il Gesù dei fondamentalisti evangelical (con qualche timida eccezione fra loro) accetterebbe che un candidato che ha più volte mentito, che ha fatto affermazioni da macho razzista ed è aggressivo, possa diventare presidente degli Usa purché sia evitato che una donna abiti alla casa bianca. In questo anche questi elettori si sono allineati all’andamento generale degli elettori conservatori: non si vota per qualcuno, ma contro qualcun altro. Chi sia e che cosa dica o faccia il proprio candidato non ha importanza. 

Sorprendentemente, quest’anno la Convenzione battista del Sud, tradizionalmente sostenitrice dei candidati repubblicani, ha affermato attraverso il pastore Russel D. Moore, presidente della Commissione Etica e religione, che non potrà appoggiare Donald Trump. Ma si guarderà bene dal suggerire di votare la candidata democratica.

Resta la domanda: ma la fede, i principi cristiani, l’amore per il prossimo come entrano nel dibattito politico? I candidati presidenziali e i presidenti da sempre mantengono la loro appartenenza religiosa nella sfera privata ma l’America è ancora un paese in cui la fede ha un ruolo importante nella vita delle persone. Ora sembra scomparsa non solo nelle parole del candidato Trump (incapace di citare anche un solo versetto biblico) ma anche nelle parole di Hillary Clinton, incapace di collegare la sua proposta di accettare 65.000 rifugiati con i principi dell’amore per il prossimo. Avrebbe potuto dirlo nel secondo dibattito televisivo, ma non lo ha fatto. La religione è diventata un fattore divisivo. Meglio lasciarla da parte e sostituirla con il vero tema di questa elezione, quello sotto gli occhi di tutti: una donna per la prima volta può diventare Presidente.

Mancano ancora alcune settimane al voto. La telenovela ci riserverà ancora molte sorprese.

Immagine: By Gage Skidmore, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17763607