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Figli e figlie della luce

Il Signore è giusto, Egli ama la giustizia
Salmo 11, 7

Comportatevi come figli di luce – poiché il frutto della luce consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità
Efesini 5, 8-9

Luce e tenebre, figli di luce e figli di tenebre sono metafore comuni nel linguaggio del Nuovo Testamento, ben comprensibili anche a noi oggi. Il brano della lettera agli Efesini in cui è inserito il passo citato, porta alcuni esempi di opere delle tenebre, ricordando ai destinatari che anche loro, prima della conversione, si comportavano in questo modo deplorevole.

È interessante notare che all’elenco di opere negative che riguardano la vita personale del credente, la sua «moralità» e i rapporti con la piccola cerchia dei membri della comunità, non viene contrapposta una lista di opere positive, da esibire a certificazione di un avvenuto cambiamento che ha trasformato dei figli delle tenebre in figli della luce.

Piuttosto lo sguardo si allarga e come frutto della luce si fa riferimento a concetti più ampi, come bontà (generosità), giustizia e verità, che non sono «virtù» che regolano la nostra vita intima, ma proposte di azione concreta nelle relazioni interpersonali, all’interno e all’esterno della comunità dei credenti, nel quotidiano, nella vita sociale e politica.

Come possiamo diventare «figli della luce»? Solo se nel nostro cammino ci affianca il Risorto e ci accompagna, come fece quella sera di Pasqua con i due viandanti sulla strada di Emmaus.

Egli ci rivela: «Io sono la luce del mondo» (Giov. 8, 32). E, con nostra grande sorpresa, aggiunge: «Voi siete la luce del mondo», e di più: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli» (Matt. 5, 14.16).

Ma nelle nostre chiese sappiamo ancora cosa significhi praticare le buone opere? Noi diffidiamo delle «opere»: e se ci inorgogliamo? O pensiamo di presentarle al Signore per accattivarci la sua benevolenza? Eh via, siamo salvati per grazia!

Grazia a buon mercato – come scriveva Dietrich Bonhoeffer – che dimentica l’ubbidienza che dobbiamo alle richieste di Dio.

Immagine: via istockphoto.com