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Terminal Sicilia: ultimo atto?

Sotto l’Etna, oggi, ci sono anche altri traffici, e riguardano proprio i migranti. Catania è probabilmente lo snodo principale da cui si innervano le reti criminali che portano al nord Italia e all’estero chi non ha il permesso di soggiorno o, semplicemente, chi viene usato dai trafficanti come fosse una merce di contrabbando. Ieri le sigarette e la droga, oggi anche gli uomini e le donne – e le rotte utilizzate spesso sono le stesse. Un “affare” che assicura grandi profitti senza grossi rischi, se si pensa che ogni siriano che arriva in Italia dalla Turchia o dal Libano paga dai 4mila ai 6mila euro per il passaggio via mare, e che soltanto nel 2014 sono arrivati 50mila siriani sulle nostre coste, è facile capire la portata dei guadagni per le organizzazioni criminali.

Come ha sottolineato Giovanni Salvi, procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Roma, con una lunga esperienza di procuratore a Catania, punire i trafficanti è anche un impegno politico, affinché «i cittadini europei comprendano la gravità del fenomeno e accettino di accogliere i migranti come vittime del traffico, quali essi sono», ha detto in un intervento alla Pontificia accademia delle Scienze sociali. «Punire i responsabili di questo traffico è un imperativo morale per riaffermare che ogni essere umano è fine a se stesso e non può essere considerato un oggetto di profitto. Punire i migranti per il solo fatto di migrare non ha invece alcun fondamento e può avere conseguente negative, spingendolo verso la clandestinità», ha sottolineato il procuratore Salvi.

Senza contare, come è stato più volte ribadito, che è proprio nella clandestinità che il migrante si trasforma nella vittima dello sfruttamento intensivo, sia nella prostituzione che nel lavoro nero.

A questo proposito Silvia Rapisarda non ha dubbi: «Essere chiese significa principalmente rivolgere la nostra attenzione a chi è meno tutelato, spesso tagliato fuori dalla fruizione di servizi poiché non rientra nelle categorie che per legge garantiscono una qualche forma di assistenza. La collaborazione con le istituzioni è necessaria, ma anche problematica nella misura in cui sono proprio le leggi e le politiche sull’immigrazione, nazionali ed europee, ad essere problematiche. Le Chiese possono e devono mantenere la loro autonomia d’interpretazione del “fenomeno” delle migrazioni. Le Chiese possono e devono essere profetiche. Farsi prendere dalla narrazione dell’emergenza significa appiattirsi sul pur indispensabile intervento umanitario. Noi abbiamo il compito di dare un’informazione reale, non asservita a interessi politici, di fare controcultura e promuovere campagne di diritti e cittadinanza attiva,  di fare pressione politica dove serve, affinché leggi e politiche ingiuste cambino. In passato questo lavoro ad ampio spettro, portato avanti dal Servizio Rifugiati e Migranti della FCEI, era evidente e condiviso con chi a livello locale si occupa di immigrazione, spero si riprenda questa strada o la si renda manifesta poiché rischiamo, anche dentro le chiese, di perdere di vista il nostro specifico sui temi delle migrazioni».

Perché gli arrivi non si fermano. Più di 11mila migranti sono sbarcati in Sicilia in soli due giorni, nell’ultima settimana. Inutile appuntarselo, perché appena cerchi gli ultimi dati, i numeri nel frattempo sono già cambiati, e presto altri bambini nasceranno sulle navi della Guardia costiera, altri moriranno sulle spiagge a un passo dalla terra promessa. E chissà quanti uomini e donne si sono persi durante il viaggio, quanti cadranno ancora lungo la strada, quante commemorazioni del 3 ottobre, Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, dovranno essere fatte prima che l’Europa si faccia carico in modo equo del dramma di chi non ha altra scelta che prendere la via del mare?

(ottava puntata. Fine)

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Immagine di Paolo Ciaberta