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Impresa mafia

In tutto il 2015 mancano all’appello nella sola Italia oltre 70mila persone che sono arrivate ma non sono state identificate. Sono ovunque, nei campi del sud, nelle fabbriche e nelle cascine del nord, in giro per l’Europa. Un esercito di irregolari che contribuiscono a far crescere il Pil delle economie stagnanti.

Ed ecco che la terra dei celebrati pomodori Ipg che, raccolti da ragazzi somali o afghani, arrivano nei nostri supermarket, assume un altro aspetto: nelle campagne a perdita d’occhio non si infittiscono soltanto le serre ma nascono Sprar, si creano centri di accoglienza per minori e cooperative sociali. Il rischio di infiltrazioni mafiose o di trucchi sui conti, cioè sulla pelle di queste donne e uomini, è pane quotidiano per gli inquirenti. Il pericolo insidioso della banalizzazione – rubano tutti, è tutto solo un business – è dietro l’angolo.

E la mafia qui non scherza. Nella provincia di Ragusa, che erroneamente per anni è stata considerata marginale rispetto ad altri poli mafiosi, in realtà opera e prospera una fitta rete criminale, che allunga le mani un po’ ovunque ma in particolar modo nella filiera agroalimentare. Aziende su aziende che si occupano di fornire le cassette in legno per gli alimenti, i prodotti in plastica per il confezionamento e la trasformazione, tutte parte di un grande sistema criminale parallelo diventato talmente pervasivo che la Dia, la Direzione investigativa antimafia, ha collocato il ragusano al primo posto in Italia quanto a pressione criminale sul territorio. Anche chi racconta queste storie rischia: si è aperto in questi giorni il processo intentato dal giornalista Paolo Borrometi contro il boss di Vittoria Giambattista Ventura e altri suoi sodali per le pesantissime minacce di morte ricevute, che obbligano il giovane cronista a vivere sotto scorta lontano da quella che era stata casa sua. DaVittoria a Pachino, e poi fino nel siracusano e nel catanese, Borrometi e i suoi colleghi pubblicano facce e nomi degli affiliati alle cosche, mettendo nero su bianco quello che tutti sanno ma troppi qui hanno paura di dire, o anche soltanto di vedere. Lunga la lista delle attività immacolate, di facciata, utili a ripulire il denaro sporco, affidate a prestanome vari. Ampia la tela che soffoca una delle terre più belle d’Italia. Per la prima volta nella storia la Federazione nazionale della stampa si è costituita parte civile nel processo, segnale finalmente dell’attenzione che questi casi devono ricevere.

Resta la pratica del giorno per giorno, la professionalità nel fare rete, nell’avviare sinergie sul territorio. Competenze e passione per donne e uomini di frontiera, che sul limite d’Europa tentano di mostrare ai nuovi arrivati un volto differente dai muri e dai reticolati.

La chiamiamo realtà, perché definirla emergenza contribuisce alla costruzione di un carattere straordinario e provvisorio, e data la fretta magari anche privo di regole, di un fenomeno che invece è parte strutturale del periodo che stiamo vivendo. E come tale va affrontato da un’Unione Europea priva di un sentire comune, incapace di diventare legame di popoli, e terribilmente debole nei confronti di chi crede che siano i muri le soluzioni, o di chi fa il puro scaricando sugli altri un dramma planetario.

«Il primo ospite nell’alloggio di Pachino, che un tempo era la casa del pastore che oggi si divide fra Scicli, Vittoria e Pachino appunto, è entrato il primo giugno di quest’anno», racconta ancora Giusy Latino. «Per lui, dal momento che è in possesso del permesso di soggiorno, è stato addirittura possibile avviare un contratto di lavoro con un’azienda balneare della costa». L’orgoglio dei primi soldi guadagnati in quella che è la sua nuova patria ne ha fatto il leader non ufficiale dell’alloggio, sostanzialmente autogestito dagli otto ragazzi, sei maggiorenni e due minorenni. Anche per loro dunque, i respinti dagli hotspot, il regalo di una speranza di un domani normale. Fra loro c’è anche un neomaggiorenne, appena espulso dalla comunità per minori che lo ospitava, e vari migranti considerati “economici”, e quindi in teoria probabili oggetto di respingimento in quanto non destinatari dello status di rifugiati. In teoria, perché per l’appunto fra iter lunghi e fughe per nascondersi il rischio più concreto è che se ne perdano le tracce. Ora che l’anno scolastico è iniziato, siederanno anche loro sui banchi per proseguire il percorso, un esito certamente fortunato di fronte ai moltissimi che invece, sbarcati in Sicilia, invece non trovano assistenza e risposte adeguate.

(fine sesta puntata. Continua)

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Immagine: permessodisoggiorno.org