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Una goccia nel mare

Anche a Pachino, Open Europe, l’ultimo progetto in ordine di tempo della Diaconia, offre assistenza agli ultimi fra gli ultimi. Persone abbandonate, in terra straniera, uscite – o mai entrate – dai vari programmi di accoglienza e protezione. Vagano per stazioni dei bus e del treno, corroborano le fila dei braccianti agricoli clandestini, tentano l’ennesimo trasbordo verso il resto d’Europa, senza documenti, incontro a parenti o amici o anche solo sperando nela fortuna. Soggetti vulnerabili, preda di affaristi, le iene di questa emergenza, pronti a nutrirsi delle carni molli di un’Europa incapace di mostrare le tanto evocate radici cristiane.

In concreto Open Europe opera con un’unità mobile gestita da Oxfam Italia e Borderline Sicilia, che fa la spola fra i luoghi di maggior concentramento di stranieri. Da quel punto in poi è contatto umano, sguardi, parole, tentativo di comprendere se in qualche modo è colmabile quel vuoto normativo che rende queste storie tutte diverse ma al contempo tutte simili. «Nell’assistenza ai rifugiati e migranti ci sono grandissime carenze», racconta Giusy Latino, psicoterapeuta, responsabile della casa appartamento della Diaconia valdese di Pachino, il secondo step di Open Europe, una residenza per coloro che scelgono di fidarsi e lasciarsi guidare da qualcuno che, conoscendo bene la lingua e le leggi in vigore, le aiuti a districarsi fra domande d’asilo, permessi di lavoro, eventuali ricongiungimenti famigliare: in una parola, una bussola nel mare magnum della burocrazia.

«Vedere questo vuoto non ci deve però scoraggiare, perché ci fa capire che siamo nel posto giusto, che stiamo fornendo una possibile soluzione ad un problema drammatico e reale a cui nessuno dava risposta».

Al momento, nell’appartamento di Pachino vivono otto persone, e forse altrettante presto arriveranno a Catania, dove la pastora battista Silvia Rapisarda è pronta per l’accoglienza. La pastora Rapisarda usa parole che suonano simili a quelle di Giusy Latino, segnale che il punto è centrato: «io credo che la Chiesa debba operare laddove le leggi dello Stato non arrivano, in aiuto a chi non trova nemmeno una norma a inquadrare la sua situazione. Ogni singolo essere umano che qui sbarca ha diritto a vivere con dignità, a proseguire il percorso o a fermarsi». Certo, ancora una volta stiamo parlando di una goccia nella marea degli arrivi quotidiani. Eppure dimostra che un modo diverso di gestire le emergenze è possibile, pur nei limiti delle forze disponibili.

Perché se si allarga lo sguardo alla situazione complessiva, si rischia di esserne disarmati. Nel solo mese settembre 2015 – gennaio 2016 e nella sola provincia di Agrigento, tanto per fare un esempio, la questura ha emanato decreti di respingimento per 1426 persone e di queste soltanto 311 sono finiti nei Cie, i Centri di identificazione ed espulsione. Gli altri hanno ricevuto un foglio di via con scadenza a sette giorni e sono stati lasciati per strada, senza la minima soglia di decoro. Ovvio che in questo modo si vada ad ingrossare le fila del caporalato, della prostituzione, dei disperati accampati all’aperto, senza una sistemazione sicura.

(fine quinta puntata. Continua)

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