lampedusa

Celebrare le vittime di tutte le frontiere

Da tre anni, il 3 ottobre si svolge un a celebrazione ecumenica per ricordare le vittime del 3 ottobre 2013 quando, in un naufragio, morirono 368 migranti a largo delle coste dell’isola. Non solo una celebrazione che pensa al passato, ma anche un momento volto al presente e al futuro. Guardiamo anche noi in quella direzione con Marta Bernardini, operatrice dell’osservatorio Mediterranean Hope presente sull’isola.

Gli arrivi via mare non si sono mai fermati, nonostante il risalto mediatico sia stato inferiore. Qual è la vostra percezione?

«Stando a Lampedusa abbiamo potuto continuare a osservare i fenomeni migratori: quest’anno, nonostante la chiusura della rotta balcanica, abbiamo notato un numero di arrivi in linea con gli anni scorsi. Cambiano però le persone che arrivano: già da tempo i siriani non passano più dall’isola. Un elemento interessante è che iniziano ad arrivare delle persone che partono dall’Egitto, non più solo dalla Libia, che continua a essere un paese instabile e pericoloso. Da quelle coste, però, il viaggio è più lungo e difficoltoso, la settimana scorsa abbiamo visto centinaia di vittime in partenza proprio dall’Egitto. I flussi migratori su muovono e cercano comunque un modo per spostarsi verso l’Europa, un fenomeno che non finisce. Il numero di morti della settimana scorsa è molto elevato e non ci sono molte notizie che riferiscono il fenomeno via mare come negli anni precedenti: non si sa se ci stiamo abituando ai morti o se l’attenzione si stia spostando su altri fenomeni, come la scelta delle politiche migratorie che continuano a essere inefficaci».

Per fortuna ci sono proposte alternative: i corridoi umanitari sono stati presentati da poco a Bruxelles

«Francesco Piobbichi, con cui abbiamo iniziato il progetto Mediterranean Hope a Lampedusa nel 2014, è stato da poco al Parlamento Europeo a Bruxelles a presentare il progetto dei corridoi umanitari che è stato promosso dalla Federazione, Sant’Egidio e Tavola Valdese, come un esempio di strada percorribile. 1000 persone che riusciremo a portare in salvo in Italia non è un grande numero, ma altri paesi possono vedere che una possibilità sicura e legale, nel rispetto degli esseri umani è possibile. Con i corridoi possiamo dare un visto per motivi umanitari ai profughi con caratteristiche di vulnerabilità che con un aereo arrivare a Roma per essere accolti nelle nostre strutture. Significa evitare i viaggi della morte, evitare di finanziare il traffico di esseri umani, e significa restituire dignità alle persone. Lo stiamo facendo dal Libano, in progetto c’è di farlo dal Marocco e dall’Etiopia. Molti paesi e chiese europee si stanno dimostrando interessate a replicare questo modello. Non vogliamo dire che le chiese o la società civile debbano sostituirsi alle politiche governative, ma invece dimostrare che se c’è la volontà e l’impegno, si possono fare delle proposte valide in accordo con le legislazioni esistenti in Italia e in Europa. È importante valorizzare l’idea della salvaguardia dei diritti degli esseri umani su cui la stessa Europa si fonda».

Il 3 ottobre ci sarà una celebrazione ecumenica a Lampedusa: cosa succede quest’anno?

«Il progetto Mh nasce proprio dopo la tragedia del 3 ottobre 2013 quando vicino alle coste di Lampedusa morirono circa 368 persone. Un dramma che scosse le coscienze, anche dei lampedusani che si trovavano in mare e che salvarono molte persone, quando la materialità dei corpi lambiva le nostre coste. È il terzo anno che Mediterranean Hope, insieme alla parrocchia locale con cui lavoriamo strettamente dal primo giorno, organizza un momento di raccoglimento e di preghiera per ricordare le vittime di quella tragedia e le vittime di tutte le frontiere. Quest’anno facciamo una celebrazione ecumenica con un’ospite interreligioso, e sarà una celebrazione che non solo ricorderà i morti, ma anche un momento di presa di impegno per dire che delle vie possibili ci sono, per dire che le chiese si vogliono impegnarsi perché queste morti non si ripetano, perché i diritti umani vengano rispettati e perché l’accoglienza rispetti la dignità umana, oltre che per chiedere ai paesi di modificare le politiche di accoglienza. Il titolo è “La memoria che segna il presente”: un lutto che però lega la memoria all’impegno concreto nel presente. Alle 18 nella parrocchia locale avremo un momento di condivisione, preghiera, di canto, di gesti simbolici insieme anche ai sopravvissuti del 3 ottobre, che ogni anno tornano sull’isola per rincontrare chi li ha salvati».

Immagine: Matteo De Fazio/Radio Beckwith – L’immagine della celebrazione del 3 ottobre 2015