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A rischio demolizione migliaia di edifici dei Rohingya

Il 18 settembre scorso il governo della Birmania ha reso pubblico un piano che prevede la demolizione di migliaia di edifici appartenenti alla popolazione dei Rohingya, una delle minoranze etniche più perseguitate nel mondo, secondo i rapporti delle Nazioni Unite.

I rohingya sono un gruppo etnico di fede musulmana che, pur vivendo da quasi un secolo nello Stato birmano di Rakhine, al confine con il Bangladesh, ad oggi non è riconosciuto come una delle 135 etnie ufficiali della Birmania. Non godono del diritto di cittadinanza, e rimangono in una condizione di apolidia nella loro terra.

La discriminazione nei loro riguardi è peggiorata a partire dal 2012 quando i rakhine – la comunità buddista più numerosa nell’omonimo stato – hanno incendiato interi villaggi e ucciso centinaia di rohingya. In migliaia tentano viaggi disperati nella speranza di raggiungere i paesi confinanti, molti altri vivono in campi profughi, privati dell’accesso alle cure mediche e all’istruzione. Senza documenti, non possono viaggiare liberamente o sposarsi, non hanno diritto alla proprietà privata, e non sono stati autorizzati a votare alle recenti elezioni del paese.

L’ordine governativo, confermato in una conferenza stampa sabato 24 settembre, dispone che vengano abbattuti più di 3.000 edifici nello stato di Rakhine, tra cui 12 moschee e 35 madrase (scuole) nelle città di Maungdaw e Buthidaung, dove la maggioranza della popolazione è di fede musulmana.

Questa settimana si è levata la protesta dell’intera comunità rohingya locale e internazionale che ha rilasciato una dichiarazione nella quale si chiede la revoca del piano di demolizione, affermando che esso è «parte dell’annientamento da tempo perseguito dal governo statale di Rakhine e della politica di pulizia etnica dei rohingya indifesi».

Christian Solidarity Worldwide (Csw), organizzazione cristiana impegnata nella difesa dei diritti umani e della libertà religiosa, riferisce che è in corso una «drammatica escalation» degli abusi contro la popolazione rohingya, e che a causa delle violenze e delle persecuzioni circa 150.000 persone vivono in campi profughi, le cui pessime condizioni sono state denunciate più volte da alti funzionari delle Nazioni Unite.

Ieri Mervyn Thomas, amministratore delegato di Csw, ha affermato che «distruggere questi edifici significherebbe solo acuire ulteriormente le tensioni nel paese e alimentare la persecuzione di un gruppo di persone disumanizzato, già gravemente emarginato».

«Chiediamo al governo della Birmania di sostenere e proteggere la libertà di religione e di credo di tutti. Sollecitiamo inoltre il governo a rimuovere il blocco all’accesso degli aiuti umanitari in alcune parti dello Stato di Rakhine, così come a Kachin e a Shan, e ad assicurare che tutti gli sfollati ricevano gli aiuti umanitari di cui hanno urgente bisogno», ha concluso Mervyn.

Immagine: via flickr.com