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Basta compiti a casa!

Continuano le polemiche su mense scolastiche e pasti portati da casa, molti dirigenti si dichiarano non pronti ad affrontare la situazione e la confusione domina. Dalla mensa ai compiti a casa: è partita da comitati di genitori e da varie associazioni “educative” un’offensiva contro i compiti a casa che, nella scuola dell’obbligo, sarebbero troppi, provocando litigi in famiglia e discriminazioni fra i genitori che hanno tempo e cultura per aiutare i figli e quelli che non possono farlo. I compiti sono stressanti, impediscono altre attività (dalla pallavolo alla piscina). Addirittura violerebbero l’art.24 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo secondo cui i lavoratori hanno diritto al riposo e allo svago… Andare a scuola – affermano i genitori – è un lavoro faticoso.

La protesta non avviene solo da noi: in Spagna la più potente associazione di genitori ha indetto il boicottaggio dei compiti a casa per il prossimo novembre. Sul libretto delle giustificazioni si scriverà: « Mio figlio non ha svolto i compiti per decisione familiare». Si protesta anche per l’eccessiva quantità di libri e quadernoni che i ragazzi e le ragazze portano avanti indietro in zaini pesantissimi, nocivi all’integrità fisica specie dei più piccoli… Da noi è in atto una petizione che ha già raccolto varie migliaia di firme e che sarà sottoposta al Ministero dell’Istruzione.

Leggendo queste cose ho fatto un salto sulla sedia. Mi sono di colpo ricordato di quando andavo alla media: da parte di madri e anche padri, prima di cena, era normale la domanda: hai fatto i compiti? Nessuno si sarebbe sognato di dire: avrai mica dei compiti da fare anche oggi, anche in questo week-end?

Ma le battute non servono e occorre invece ragionare seriamente.

Intanto c’è un’enorme differenza tra il pieno tempo e la scuola di 4-5 ore soltanto alla mattina. Gli alunni del tempo pieno stanno a scuola 2 o 3 ore nel pomeriggio, complessivamente circa 8 ore. A questi ragazzi dare ancora dei compiti a casa è delirante: l’insegnante che non lo capisce non dovrebbe insegnare. Il tempo pieno è stata una conquista per i lavoratori, l’idea sottostante era che «si deve fare tutto a scuola», proprio per contrastare il divario tra ricchi e poveri (rileggiamo la Lettera ad una professoressa di Don Milani e pensiamo alla lotta contro la “scuola di classe” negli anni’60, alla conquista delle 150 ore (di scuola) ottenute nel contratto del metalmeccanici nel 1973).

Dove la scuola si svolge solo la mattina ( così l’ha fatta la gran parte di noi) il discorso è completamente diverso. Qui non è in discussione il fatto che sia opportuno fare un certo numero di compiti a casa, ma quali compiti e in che modo.

Intanto i compiti non vengono quasi mai assegnati da oggi per domani. Le materie hanno un certo numero di ore nella settimana e dunque si possono benissimo assegnare dei compiti con una settimana di tempo per farli. Dopodiché, se per esempio l’insegnante di matematica spiega in classe le equazioni, non mi sembra che chiedere agli alunni di risolvere a casa qualche esercizio in merito sia un attentato alla concordia famigliare. Caso mai i genitori si abituino a non fare i compiti al posto dei figli e non facciano da loro assistenti. Lo stesso vale se l’insegnante di italiano chiede di fare un riassunto o di imparare a memoria entro due o tre giorni una poesia; mi dicono però che le poesie a memoria non usano più. E’ un vero peccato, una privazione inspiegabile. Ci sono poesie che ricordo a memoria ( come l‘Infinito di Leopardi o qualche terzina della Divina Commedia) e che a volte mi recito ancora oggi con grande piacere…

Panino libero e basta compiti a casa. Al di là delle battute si tratta di un attacco alla scuola pubblica pericoloso, perché l’idea è quella di trasformare l’organizzazione scolastica al servizio delle famiglie. In questo familismo si costruisce una sorta di opposizione a tutto ciò che è pubblico, perché non rispetterebbe i desideri individuali e invaderebbe un campo che deve restare in mano ai genitori. La cosa pubblica, la res publica si oppone al proprio particolare, l’unico che interessa…

Sarebbe perciò il momento di una rieducazione alla responsabilità personale, al non delegare, ad assolvere i propri doveri senza che ci sia qualcuno che ci costringe. Prima il dovere, poi il piacere si diceva una volta ai figli. Prima le tabelline a memoria e poi il pallone( oggi si sono perse le une e l’altro!) Non che a tutti i costi il dovere debba esser fatto prima, ma che almeno sia fatto, senza per questo impedire il piacere. Responsabilità è anche capacità di programmare il tempo, di organizzarsi, di prevedere, di dare ordine al proprio fare.

Senza dimenticare che lo studio individuale, il leggersi un bel romanzo, può diventare un vero piacere, un arricchimento, un’apertura. Va bene esser connessi con la rete e navigare nei social network (anche se bisognerebbe dedicare a questa attività un po’ meno di tempo) ma perché non assaporare anche il piacere di leggersi un bel romanzo da soli, perché non provare la soddisfazione di studiare e di riuscire a raggiungere l’obiettivo?

Dal momento che queste e altre riflessioni che si potrebbero fare sull’educazione alla responsabilità personale all’interno di un gruppo, di una classe, di una comunità, hanno anche a che fare con il protestantesimo, perché nel prossimo anno, anziché limitarci a ricordare la Rifoma del 1517 con i soliti eventi, non pensiamo anche a come rilanciarle nelle famiglie, nei consigli dei docenti a scuola, nelle attività delle chiese…?

Certo che, pensando a ciò che sta accadendo intorno a noi, in Europa, alle tragiche traversate sui barconi, ai muri in costruzione, alla disperazione di chi perde il lavoro e di chi ne trova ogni tanto un po’, ma sempre precario, a chi patisce la guerra o la persecuzione…leggere di famiglie che rivendicano il panino libero a scuola e si preoccupano che i compiti dei figli non provochino litigi o rovinino il week-end è come minimo sconcertante.

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