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La (il)logica emergenza

65 milioni di rifugiati nel mondo a fine 2015, una cifra record, mai raggiunta prima, nemmeno in tempi di guerre mondiali, di catastrofi ambientali o umanitarie.

Miliardi di dollari o euro guadagnati dai trafficanti di esseri umani, denaro utile a finanziare attività terroristiche, e a rinsaldare le posizioni di forza di organizzazioni settarie, violente, terribilmente pericolose. Miliardi di dollari invece spesi dalle nazioni per misure tampone, a scadenza, balbettanti, contraddittorie. Mentre gli sbarchi non si fermano di certo, mentre i morti continuano a sommarsi ai morti.

Per la prima volta nella storia, con colpevole ritardo quindi, le Nazioni Unite hanno organizzato un summit tutto dedicato all’emergenza umanitaria dei nostri tempi, alle catastrofi legate alle migrazioni dovute a guerre e mutamenti climatici. Tutti riuniti i leader mondiali, fra solenni discorsi e prese di impegno, ovviamente non vincolanti, per carità, nessuno si senta il cappio al collo. E così di compromesso in limatura la montagna ha partorito il topolino.

Barack Obama alla sua ultima comparsata da Commander in chief al Palazzo di Vetro ha avuto il compito di rendere noto al grande pubblico gli esiti delle discussioni, che per pudore riportiamo solo in quelli che dovrebbero essere i meriti maggiori: 50 nazioni si impegnano ad accogliere entro la fine dell’anno 360 mila migranti e a ripetere tale cifra negli anni, con l’auspicio che altri paesi si aggiungano. La divisione assai semplice porta ad una media di circa 7 mila persone per ognuno di questi 50 Stati. Ecco. Solo un paio di settimane fa sulle coste siciliane sono state soccorse 13 mila donne e uomini in una settimana. Tanto per capire le proporzioni, che qualcuno al di là dell’oceano Atlantico non deve avere molto chiare. Ma nemmeno al di qua, se i leader europei tranne quelli italiani tacciono di fronte a misure omeopatiche davanti ad una crisi gravissima. Manca il senso del reale o veti e controveti possono giungere a tali ridicole soluzioni?

Qui si innesta un secondo aspetto. Il fatto che sia stato questo il primo summit Onu sul tema rifugiati e migranti rende plasticamente idea del ritardo nell’affrontare in maniera sistemica la questione, e al contempo descrive ancora una volta, per di più fuori tempo massimo, una situazione emergenziale.

E emergenza vuol dire misure straordinarie, prese magari al di fuori dei normali canali democratici, data la fretta di intervenire. Emergenza vuol dire appalti senza controlli, vuol dire chiudere un occhio anche su eventuali errori perché in fondo stiamo imparando tutti sul campo come fronteggiarla questa crisi benedetta. Ma non è così: la questione della gestione dei flussi non può venir trattata alla stregua di un terremoto o di una inondazione, il tema esiste da anni, decenni, è sistemico, strutturale, e come tale va affrontato, con politiche di accoglienza, del lavoro, sociali, tutte di lungo termine, e non con i tamponi dell’oggi per l’oggi. Il concetto di emergenza serve a bypassare tutto e a giustificare tutto e tutti, ma così non può essere di fronte a milioni di donne e uomini che andavano salvati ieri, altroché domani o dopodomani.

Un recente studio della Ong Oxfam rivela che le 6 nazioni più ricche del pianeta, che da sole rappresentano il 50% dell’economia mondiale ospitano meno del 9% dei rifugiati e richiedenti asilo. Chi ha più risorse e maggiori responsabilità in relazione agli attuali squilibri globali non ne viene quasi toccato. Nessuno ha nulla da dire su questo? L’Europa abbandona i propri paesi di frontiera ad affrontare situazioni esplosive, al limite della crisi umanitaria e sanitaria, e il summit Onu rinvia ad un ulteriore incontro da tenersi il prossimo anno la verifica dell’attuazione di questa accoglienza fatta al rallentatore.

L’unica nota lieta della tre giorni di strette di mano e promesse di fare è stato il ritorno al palazzo di vetro, per la seconda volta dopo luglio, del discorso relativo ai corridoi umanitari promossi dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia e dalla Comunità di Sant Egidio: ancora una volta è toccato al ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni e al suo vice Mario Giro presentare questa best practice, auspicando entrambi che possano entro breve essere presi ad esempio da altri Paesi, da altre istituzioni.

Come per lo strapubblicizzato vertice sul clima di Parigi dello scorso anno, terminato con l’amaro in bocca, ancora una volta le Nazioni Unite paiono entità gigantesca e amorfa, incapace di risposte concrete in tempi rapidi. Sul tema rifugiati e migranti si gioca larga fetta della credibilità residua. Ma troppi veti, troppi muri, troppi fili spinati ne minano alla base ogni possibilità di successo.

Immagine: By RIA Novosti archive, image #828797 / Yuryi Abramochkin / CC-BY-SA 3.0, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=18134980