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Sale la tensione nello Zimbabwe

Sale la tensione nello Zimbabwe. Da qualche mese il paese è in preda alle proteste contro la disastrosa situazione economica e politica, frutto del mal governo dell’inossidabile dittatore Robert Mugabe, che nei mesi scorsi ha fatto sapere di voler governare «a vita» e di volersi presentare alle prossime elezioni presidenziali in programma nel 2018. La qualcosa è stata accolta malvolentieri dalla stessa maggioranza del partito governativo Zanu-Pf che sarebbe a favore delle riforme e di un assetto democratico vero e proprio, ma una forte opposizione viene esercitata dalle forze di sicurezza statali, che stanno cercando di eliminare alcune protezioni per i diritti umani previste dalla Costituzione. Ieri, ad esempio, la polizia dello Zimbabwe ha reintrodotto il divieto di manifestare contro il 92enne Mugabe una settimana dopo la sospensione di un precedente divieto deciso dalla Corte Costituzionale. Secondo quanto riporta il quotidiano statale Herald, il nuovo divieto entrerà in vigore venerdì e durerà un mese.

Intanto le proteste cittadine contro il governo crescono e anche la repressione si fa più violenta.

Dopo ripetute minacce di morte, il pastore battista Evan Mawarire, leader del movimento #ThisFlag – che ha criticato apertamente il governo del presidente Mugabe denunciando le pessime condizioni economiche, la corruzione e le violazioni dei diritti, e che è stato temporaneamente arrestato con false accuse di tradimento e violenza pubblica – è fuggito negli Usa, attraverso il Sudafrica, insieme alla moglie incinta e altri due figli.

La partenza di Mawarire ha scatenato diverse reazioni: alcuni si sono sentiti traditi, altri continuano a sentirlo come un punto di riferimento che, anche a distanza, può sostenere il movimento catalizzando intorno alla causa zimbabwana quanti compatrioti si trovano all’estero per motivi diversi. Il pastore battista ha annunciato di voler protestare contro il governo di Mugabe a New York in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che si terrà dal 17 al 19 settembre.

Il pastore Mawarire si è scontrato con la potenza dell’apparato repressivo del regime di Mugabe. Nonostante le garanzie costituzionali di libertà di espressione e di associazione, e gli obblighi internazionali dello Zimbabwe per proteggere i diritti umani, le autorità governative non sono disposte a tollerare alcun dissenso o critica.

L’esperienza di Mawarire segna il ritorno dello Zimbabwe a un terribile passato caratterizzato dalla repressione politica, dal disprezzo per i diritti fondamentali e da vessazioni nei confronti degli attivisti.

Dal mese di giugno, numerosi gruppi non governativi hanno organizzato oltre una dozzina di proteste pubbliche in tutto il paese. La polizia ha risposto indiscriminatamente utilizzando idranti, gas lacrimogeni, manganelli e sedando con la violenza le proteste pacifiche. Centinaia di persone sono rimaste ferite e decine sono state arrestate con l’accusa di violenza pubblica.

Il 9 marzo 2015, Itai Dzamara, giornalista, attivista per la democrazia e leader del gruppo di protesta «Occupay Africa Unity Square, è scomparso ad Harare. Dzamara, impegnato a mobilitare i cittadini dello Zimbabwe contro il lungo e opprimente governo di Mugabe, aveva inoltrato una petizione al dittatore con la richiesta delle sue dimissioni e dell’avvio di una riforma del sistema elettorale.

In occasione della Giornata internazionale degli scomparsi il 30 agosto di quest’anno, a Johannesburg, , ha chiesto di sapere dove fosse finito il marito. La famiglia di Dzamara, come molti cittadini dello Zimbabwe, sospetta il coinvolgimento di agenti di sicurezza dello Stato nel rapimento dell’uomo proprio a causa della petizione inviata a Mugabe.

Crescono le tensioni e si teme che esse possano degenerare in una guerra civile. In molti, a cominciare dal pastore Mawarire, dall’attivista scomparso Itai Dzamara, e dai leader di alcune chiese cristiane che chiedono che le proteste rimangano nonviolente, sono convinti che solo una risoluzione pacifica della successione di Mugabe e le riforme istituzionali potranno assicurare la ripresa economica e la stabilità politica del paese. Per il momento queste sembrano essere lontane dal realizzarsi.

Immagine: via istockphoto.com