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Eliminare vescovi e Lord dal parlamento inglese?

Il dibattito sui costi della politica non tiene breccia solo nel nostro paese da decenni, ma è motivo di discussione serrata anche altrove, sebbene nessuna realtà, per lo meno a livello europeo, incida sulle tasche dei propri cittadini tanto quanto il parlamento italiano.

Ad altre latitudini le questioni riguardano quindi differenti criticità. In Inghilterra nello specifico è la Camera dei Lord a finire a intervalli regolari nel mirino di chi vorrebbe stringere i cordoni della borsa dei costi della macchina politica.

Retaggio medievale, inutile privilegio, sono stati in molti ad accanirsi nel tempo contro il ramo alto del parlamento inglese, gremito di nobili, funzionari, prelati. Ma invece di calare, il numero dei suoi rappresentanti, che non è fisso, ha continuato a crescere fino ad arrivare all’incredibile conta attuale di 805, seconda solo al Congresso del popolo in Cina. Tutti stipati come sardine a Westminster, a perpetuare rituali svuotati di significato nel tempo, con un ruolo sempre più marginale. Eppure chi tocca i fili della House of Lords rischia seriamente di rimanere folgorato.

Fra questo quasi migliaio di notabili e patrizi, ben 92 vedranno la propria carica passare al figlio (gli appartenenti alle grandi famiglie aristocratiche) con sistema ereditario diretto, mentre 26 sono i vescovi della Chiesa d’Inghilterra a farne parte.

Aristocratici e uomini di Dio quindi, a dire la loro sulle riforme economiche e politiche di una nazione moderna, fra le più importanti al mondo. Ha senso ancora tutto questo?

Ecco che proprio in questi giorni Charles Walker, onorevole della Camera dei Comuni, la componente operativa del parlamento inglese, è tornato a proporre la rimozione proprio dei seggi ereditari e di quelli riservati alla chiesa di Stato, con l’eccezione delle 5 figure principali che rappresentano le più vecchie diocesi del paese: l’arcivescovo di Canterbury, quello di York e i vescovi di Londra, Durham e Winchester.

La Chiesa di Scozia di formazione presbiteriana non ha al proprio interno vescovi o arcivescovi per cui non ha rappresentanza della House of Lords, così come la Chiesa d’Irlanda o quella del Galles in quanto non più da tempo chiese di Stato.

La proposta di Walker giunge in reazione agli intenti del governo, guidato da poco di un mese dalla sua compagna di partito Theresa May, di ridurre il numero dei componenti la Camera dei Comuni, l’unica con reali poteri decisionali ed eletta dal popolo, dai 650 attuali a 600, per dare un segnale politico alla cittadinanza sulla volontà di contenimento dei costi anche all’indomani del referendum che ha sancito la fine dell’esperienza europea dell’Inghilterra, con i conseguenti scenari ancora poco chiari che si intravedono all’orizzonte.

Ridurre il numero dei parlamentari operativi e veder crescere quello dei notabili non pare in effetti mossa di grande appeal verso l’elettorato ancora frastornato dall’esito referendario del giugno scorso.

La presenza poi di rappresentanti di una confessione religiosa appare anacronistica, ancor più in una società multiculturale di oggi.

E’ stata la stecca Commissione sulle religione e la fede nella vita pubblica britannica ad auspicare per il futuro una rappresentanza maggiormente bilanciata e rispecchiante l’attuale panorama inglese.

Furono Margaret Thatcher e John Major, a capo di governi conservatori a nominare infatti nel tempo la prima il rabbino capo Immanuel Jakobovits e il secondo l’arcivescovo di Armagh della Chiesa d’Irlanda Lord Eames all’interno della Camera dei Lord.

Uno sforzo di maggiore pluralità in una nazione a fortissima immigrazione risulterebbe certamente per lo meno più indicativo del reale corso delle cose.

Immagine: Di U.S. Departement of Defense – http://defense.gov, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=24004077