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Il dolore come un pozzo profondo a cui attingere nelle nostre vite

«Profondo è il pozzo del passato. O non dovremmo dirlo imperscrutabile?». Sono le prime, programmatiche righe di «Discesa agli inferi», prologo alla prima sezione della complessa tetralogia di Thomas Mann Giuseppe e i suoi fratelli, uscita tra il 1933 e il 1943, ma già avviata nella sua composizione nel 1925: le date non sono casuali, perché questo viaggio nel retroterra biblico e al tempo stesso in una mitologia più ampia trasuda le ansie dell’Europa fra le due guerre e poi l’incubo del nazismo e del conflitto in corso. Ma la frase è programmatica perché dice che il pozzo del nostro passato è dotato di una ricchezza infinita, un serbatoio in cui abbiamo messo da parte pezzi su pezzi della persona che siamo; e al tempo stesso, però, questo deposito di noi stessi non è così facilmente alla nostra portata. Avere a che fare con ciò che siamo diventati e con la persona che ci costruiamo addosso ogni giorno è un esercizio duro, che ci mette in questione, una lotta quotidiana.

È probabilmente questa lotta il vero dolore con cui ha a che fare Iris, protagonista di Dolore, romanzo dell’israeliana Zeruya Shalev intriso di rimandi biblici – proprio alla storia di Giuseppe venduto dai fratelli. Preside di una scuola (per le età delle varie classi di alunni è come un nostro istituto comprensivo) e di una sapienza ebraica fatta di quotidianità più che di cultura: per esempio lo sguardo sui propri destini che deriva dal vivere quotidianamente nella paura degli attentati.

Da un attentato all’esplosivo muove in effetti l’intreccio: Iris era in auto a fianco a un bus saltato in aria, e dallo scoppio ha riportato quelle multifratture al bacino che a distanza di anni lasciano più forme di dolore: un dolore fisico, che costringe ad altre sofferenze (l’assunzione di analgesici e simili, la convivenza con materiali metallici estranei innestati nel corpo), ma che in sovrappiù rimanda al continuo pensiero su come sia cambiata l’esistenza da quel giorno; rimanda ai mutati rapporti familiari; riporta al caos e alle incertezze del quotidiano (è per un motivo del tutto casuale che non fu il marito, quel giorno, ad accompagnare i figli a scuola); poi c’è il ricordo di Eitan, il grandissimo amore di gioventù; Eitan lasciò la protagonista travolto dalla morte della propria madre, che tanto voleva bene alla fidanzata del figlio.

Capita che Eitan, nel frattempo diventato chirurgo di valore, debba visitare Iris, e che i due si ritrovino dopo ormai molti anni dal loro addio. Ne consegue il riaccendersi di una passione, costellata però dal continuo confronto tra quel che Iris era all’epoca (con speranze e lacerazioni dettate dall’età e dall’aver perso il padre in guerra, come tanti e tante in Israele) e quel che è la complessità della sua vita odierna, fra l’indolenza del marito le i figli prossimi ai vent’anni.

Tutto il libro è un confronto fra la realtà del momento (momenti di amore, intensi e dilaceranti, momenti di rabbia, momenti di lavoro routinario) e la rielaborazione continua di quel che avviene di quel che è stato. Gli stessi eventi passati vengono rivissuti in modi diversi a seconda di quel che sta capitando. La narrazione è condotta con una padronanza dei mezzi espressivi notevole, complessa, avvolgente ma mai per questo pesante, come capita ad altri autori. Il fatto e il suo commento nascono contemporaneamente nell’animo di Iris; gli eventi accadono perché lei pensa di farli accadere (su tutti, la scelta di riaccendere quella vecchia ineguagliabile storia d’amore) e nello stesso tempo trova le giustificazioni, da dare a se stessa prima che agli altri, sulle stesse sue scelte.

Il rimando alla complessa storia di Giuseppe ricorre più volte (come anche, non in citazioni esplicite ma piuttosto nell’andamento «solenne» della narrazione, nell’«aria che si respira», echeggiano i salmi della sofferenza o il libro di Giobbe, o i toni dell’Ecclesiaste), e questo si spiega perché la storia di Giuseppe è una storia di riconoscimento: i destini delle persone si incrociano, si sovrappongono e si elidono, nella gioia e nella sofferenza, la casualità e l’azione di Dio a volte si alleano nel determinare le nostre vite. Anche una società come quella isaraeliana deve fare i conti con la secolarizzazione e con una cultura scientifica che avanza imperiosa, ma il riferimento al capitolo 45 della Genesi e al disvelamento di Giuseppe è probabilmente ben presente a tutti, praticanti o meno, fin dalla scuola.

Così Iris continua ad attingere al pozzo e a scoprirlo infinitamente profondo e buio ma anche ricco; ma con questa materia, che pare imperscrutabile, non rifiuta di fare i conti; non rifiuta di metter mano al proprio dolore, ma cerca di tenersi aggrappata a quella umanità che le permette di riconoscerlo, di nominarlo e così di affrontarlo.

* Z. Shalev, Dolore, Milano, Feltrinelli, 2016, pp. 286, euro 18,00.

Immagine: By Blaues Sofa from Berlin, Deutschland – Zeruya Shalev auf dem Blauen Sofa der LBM 2012, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=45913354