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La verità non si difende con la repressione

Pochi giorni fa il governo polacco ha approvato una proposta di legge che prevede pene piuttosto severe – fino a tre anni di carcere – per chi definirà come «polacchi» Auschwitz e gli altri campi di sterminio o lager nazisti che si trovano in Polonia. Quasi sicuramente la proposta sarà approvata in tempi brevi dal Parlamento polacco. Il problema non è nuovo; già i governi precedenti hanno dovuto affrontarlo, senza ricorrere tuttavia al diritto penale. Su Wikipedia in polacco si trova un ampio materiale legato all’argomento. Vi si scopre – non senza stupore – che anche in Italia c’è chi usa l’espressione incriminata dal governo polacco. Tutto documentato con decine di note a piè di pagina. Lo stupore nasce dal fatto che non si tratta di giornalini pubblicati da dilettanti bensì dell’agenzia Ansa e dei suoi lanci ripresi acriticamente da maggiori quotidiani nazionali, ad esempio nel 2013 in occasione della vista ufficiale di Ignazio Marino, all’epoca sindaco di Roma, ad Auschwitz.

In un certo senso ha dunque ragione il ministro polacco della Giustizia Zbignew Ziobro quando afferma: «È nostro compito difendere la verità e la dignità dello stato polacco e della nazione polacca, così come i nostri padri, le nostre madri e i nostri nonni», precisando che il carcere sarà applicato a chi definirà «intenzionalmente» come polacchi i campi di sterminio.

Anche se il tono dell’intervento del ministro Ziobro lascia un po’ perplessi, il contenuto non è del tutto sbagliato. Ciò che invece diventa estremamente problematico è il metodo scelto dal governo di Beata Szydlo. A mio avviso ci sono ambiti in cui la verità e la dignità di uno Stato o di un popolo non possono essere difesi con la repressione della libertà di opinione. Non vi sono dubbi che i campi di concentramento e di sterminio furono costruiti e gestiti dalle SS naziste. In questo senso l’uso dell’aggettivo «polacco» è assolutamente sbagliato. Rimane tuttavia aperto il problema della responsabilità morale (e talvolta anche penale) dei cittadini polacchi che hanno collaborato attivamente con gli occupanti nazisti nello sterminio degli ebrei. Si potrebbe ribadire che la maggioranza della popolazione non si è macchiata di tale collaborazione; la stessa maggioranza però è rimasta passiva di fronte all’orrore che – in particolare negli anni 1943-45 – non poteva sfuggire agli occhi dei più. Nei termini numerici chi salvava attivamente gli ebrei faceva sempre parte di una minoranza. Roman Polanski ha raccontato simbolicamente questa storia nel suo celebre film Il pianista. Dal punto di vista storico numerosi documenti conservati negli archivi tedeschi e polacchi non sono stati analizzati ancora in maniera esaustiva. Spero che la legge in questione non ostacolerà tale analisi critica.

Chi – come me – ha sperimentato sulla propria pelle il socialismo reale, prova oggi una fastidiosa sensazione di déjà vu. Nella Polonia socialista venivano perseguite penalmente e moralmente persone che osavano affermare idee contrarie all’ideologia del partito al governo. Oggi di nuovo lo spettro della repressione si aggira lungo la Vistola. Non credo che la repressione sia una strada giusta per affrontare questioni che hanno a che fare con convinzioni individuali e con l’etica professionale di uno studioso o di un giornalista. Le uniche vie percorribili sono quelle del dibattito pubblico, dell’educazione libera da ogni condizionamento ideologico e della riconciliazione delle memorie.

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