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Relocation? Errore di Sistema

Francesca Pisano è un’operatrice della Diaconia Valdese impegnata a Ventimiglia (IM) nel supporto ai migranti bloccati alla frontiera con la Francia, in collaborazione con la Caritas di Ventimiglia-Sanremo e le altre associazioni che operano nel territorio. Francesca lavora presso il nuovo centro di accoglienza del Parco Roja. Questa è una nuova pagina del suo diario.

Scrivendo la parola relocation sulla tastiera, la prima reazione di Word è sottolinearla in rosso. «Spiacente ma non mi risulta in nessun dizionario – sembra dire –; non ho proprio idea di cosa si tratti». Quella linea rossa zighettata sulla pagina bianca mi disturba, quindi cerchiamo di fare chiarezza e apri bene le orecchie caro PC, l’essere umano sale in cattedra.

La Relocation (ricollocamento, in italiano) è un programma che inizia poco più di un anno fa, quando l’Unione Europea, presa coscienza della cosiddetta «crisi umanitaria nel Mediterraneo», chiede agli Stati membri di compiere uno sforzo di solidarietà verso Grecia e Italia, paesi di frontiera da cui transitano centinaia di migliaia di migranti ogni anno. A spingere l’Ue una motivazione sconfortante quanto chiara: le condizioni in cui versano l’Italia e la Grecia sono conseguenza di un malfunzionamento prodotto dal «sistema Dublino», che sovraccarica le strutture di accoglienza dei Paesi di frontiera. Bisogna agire.

La soluzione si chiama Relocation: lo spostamento di persone in evidente necessità di protezione internazionale, appartenenti a nazionalità il cui tasso di riconoscimento di protezione sia pari o superiore al 75%, perciò fondamentalmente Siriani, Eritrei e Iracheni. In base agli impegni assunti dai membri della Commissione Europea, entro settembre 2017 dovranno essere ricollocate da Grecia e Italia 160.000 persone, suddivise tra i Paesi in base al Pil, alla popolazione, al tasso di disoccupazione e al numero di richieste d’asilo nei quattro anni precedenti, ma da maggio 2015 a oggi siamo a quota 3100, meno del 2% del totale.

Importante è però capire quali siano le tappe di questo programma europeo, mio amico PC: le persone, dopo aver richiesto asilo nello stato di arrivo, possono essere trasferite nel Paese di ricollocazione per l’esame della domanda di protezione internazionale. Sembra semplice, ma non lo è: alla base vi è (o dovrebbe esservi) uno scambio di informazioni tra gli Stati di partenza e quelli di ricollocamento, secondo il quale ogni Paese di destinazione comunica il numero di richiedenti che avrà modo di essere ricollocato in modo rapido. Ciò che devono fare Italia e Grecia, invece, è identificare i candidati e comprendere il potenziale Paese di destinazione, sulla base della possibilità del candidato di integrarsi (tenendo conto di eventuali vincoli culturali o familiari e delle capacità linguistiche). Tutta questa procedura dovrebbe svolgersi entro due mesi da quando gli Stati di ricollocazione comunicano la disponibilità di posti, ma sei un computer, quindi poco senso avrebbe dirti che la prassi è ben diversa.

La realtà vede tempi di attesa lunghissimi – fino a sette mesi – nei quali i richiedenti vengono spostati da un centro italiano all’altro, spesso strutture sovraffollate, isolate e prive di mediatori culturali. Una volta ricevuta la risposta sulla destinazione finale la situazione spesso si fa ancora meno rosea: molti rifugiati vengono allocati in Paesi ben lontani dall’ideale di sogno europeo, in località di provincia e con un sistema economico e politico traballanti. Sebbene infatti fra i Paesi partecipanti al programma vi siano le ambitissime Germania e Francia, nel gioco d’azzardo al quale le speranze dei rifugiati sono legate il «premio» finale potrebbe consistere in un soggiorno di lungo periodo in Ungheria o Romania, paesi il cui sistema Welfare poco rimanda al concetto di benessere.

Alla luce delle disfunzioni di un programma che aveva generato grandi speranze nel lavoro degli addetti al settore e- soprattutto- nelle aspettative dei migranti, quasi inizia ad apparire logico il segno rosso con il quale il mio PC mostra il suo disappunto nel leggere la parola Relocation.

L’errore di Sistema c’è, non è facile darne una spiegazione ai migranti e purtroppo non esiste una soluzione rapida ed efficacie come il correttore automatico.

Immagine: Di Grj23 – Opera propria, CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11146794