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Lombardia, nasce lo sportello per segnalare “dottrine gender a scuola”

La scorsa settimana la Giunta regionale lombarda ha approvato una delibera per creare in via sperimentale uno «sportello Famiglia» con un numero verde da chiamare per «segnalare casi di indottrinamento gender nelle scuole». Il progetto sarà sperimentato per 12 mesi, a partire da settembre e avrà un costo di 30.000 euro l’anno. Secondo l’assessora alle Culture, Identità e Autonomie della Regione Lombardia, Cristina Cappellini, «Non si tratta di uno sportello anti-gay, ma di uno strumento di ascolto e di informazione pro famiglia». Nella stessa dichiarazione, Cappellini continua però affermando che «come istituzioni ci sentiamo in dovere di difendere la libertà educativa in capo alla famiglia e arginare quei fenomeni di indottrinamento ideologico, altrimenti noti come “ideologia gender”, che in molti casi sono già stati sperimentati sulla pelle dei bambini».

Sin dall’insediamento di Roberto Maroni, nel 2013, la vicinanza tra la Giunta regionale lombarda e il mondo cattolico più conservatore è stata forte, e sulla definizione di «famiglia» si sono giocate partite di grande rilevanza, che hanno diviso tanto sul piano politico quanto su quello civile, arrivando in alcuni casi anche in tribunale. Una realtà molto lontana da quella del Comune di Milano, che a partire dall’amministrazione Pisapia nel 2011 ha avviato politiche di inclusione in linea con una società che cambia e che deve accogliere la sua trasformazione.

A gestire lo «sportello Famiglia» lombardo sarà l’Age, l’Associazione italiana genitori, che si occuperà di eventuali «casi di forme di disagio nel percorso educativo degli alunni», come dichiarato ancora dall’assessora Cappellini. Secondo Daniela Di Carlo, pastora della chiesa valdese di Milano, «questa decisione si commenta da sé» anche alla luce dell’affidamento, perché «sappiamo che l’Age è un’organizzazione molto conservatrice e confessionale».

L’affidamento all’Age ci fa già capire quale indirizzo avrà questo sportello?

«Sì, perché si tratta di persone che provengono dall’area più conservatrice del mondo cattolico: hanno per esempio sostenuto il Family Day, sono andate in piazza diverse volte con le Sentinelle in piedi per contrastare tutto quello che è stato il dibattito sulle unioni civili. Siamo un po’ sconcertati dal fatto che proprio loro possano gestire uno sportello famiglia, che nelle intenzioni, e temo anche nei fatti, va ad annullare tutto il lavoro svolto dalle associazioni in maniera capillare nelle scuole. Negli anni, infatti, si è lavorato duramente affinché si percepisse l’umanità non soltanto come quella che viene definita la “famiglia normale”, ma in maniera molto più plurima e creativa rispetto a quello che per esempio l’Age intende per famiglia».

Con questo atto, la Regione Lombardia ha preso una posizione forte. Come si spiega?

«Il fatto è che nella Giunta regionale ci sono molte persone che sono schierate in modo molto conservatore in nome di un concetto di famiglia monodimensionale. Da Roberto Maroni a Massimiliano Romeo fino a Cristina Cappellini, il fronte è piuttosto ampio, e proprio da qui è nata l’idea di istituire questo Sportello. L’appalto è stato vinto dall’Age, organizzazione molto vicina alla giunta regionale, e che avrà più di 30.000 euro per lavorare in questi dodici mesi. Credo che la spiegazione e le responsabilità si trovino proprio nella guida dell’amministrazione in Regione».

Nonostante l’importanza della decisione, per ora il dibattito non è particolarmente ampio. Perché, secondo lei?

«Diciamo che da un lato la notizia è molto fresca, dall’altro è un periodo molto difficile per tutta l’Europa e ci si sente sotto minaccia per tutti gli attentati che stanno avvenendo in Europa, quindi è normale che all’ordine dell’attenzione ci siano fatti che fanno ancora più paura . È però importante che da settembre si vada a lavorare di nuovo sull’inclusione dei generi, non solo all’interno delle scuole ma appunto nella società civile, come per esempio si fa nella città di Milano. La Casa delle donne di Milano è uno dei luoghi nei quali questo tipo di lavoro viene fatto in maniera molto profondo: qualche tempo fa si è svolto un convegno di ampio respiro al quale hanno partecipato insegnanti e realtà sociali del territorio».

Che cosa può fare un cittadino per contrastare questa deriva?

«Sicuramente deve tenere sempre alta l’attenzione là dove accadono cose come questa. È necessario trovare gli strumenti assieme alle altre e agli altri con cui includere non soltanto l’identità di genere, ma includere le culture, le integrazioni, tutta una serie di cose che invece iniziative come queste non fanno che escludere, e anche quindi alimentare poi ciò che quel malumore che normalmente viene ad esplodere in situazioni come quelle che ci troviamo ad affrontare».

Il dibattito sull’identità di genere in seno alla Chiesa valdese è arrivato a un livello molto alto e sono state compiute delle scelte in nome dell’inclusione. È possibile portare questo dialogo anche nelle sedi di incontro con le altre confessioni?

«Noi come chiesa facciamo parte del Consiglio delle chiese cristiane di Milano, dove lavoriamo prevalentemente con le chiese cattoliche e ortodosse. Ecco, diciamo che la Chiesa valdese di Milano è una sorta di oasi, perché presso le altre confessioni temi come questi sono considerati spinosi: i discorsi che riguardano il gender, l’inclusione o le unioni civili sono messi abbastanza al margine perché creano molti problemi. Non per altro, queste confessioni, sia quella cattolica sia quella ortodossa, con le quali lavoriamo ancora oggi, non hanno l’ordinazione delle donne, quindi le donne sono ancora a coprire dei ruoli molto marginali».

Foto: Di Amstead23Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=49527747