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Campo di prima accoglienza a Ventimiglia: i primi giorni

Francesca Pisano è l’operatrice della Diaconia Valdese impegnata da questa settimana a Ventimiglia (IM) nel supporto ai migranti bloccati alla frontiera con la Francia, in collaborazione con la Caritas di Ventimiglia-Sanremo e le altre associazioni che operano nel territorio. Francesca lavora allo sportello della Caritas e al campo presso la chiesa di Sant’Antonio, dove sono accolte diverse centinaia di migranti. Questa è la prima pagina del suo diario.

Precarietà. È questa la parola che meglio descrive la situazione del campo “ConFine Solidale” istituito e gestito da Caritas nella chiesa di Sant’Antonio a Ventimiglia. Gli ospiti che qui vengono a cercare rifugio per la notte e ai quali vengono distribuiti i pasti – per lo più sudanesi della zona del Darfur – sono tra i settecento e i novecento, ma è quasi impossibile fare un stima precisa. Si accampano dove possono, utilizzando le sale interne della chiesa, il piccolo cortile all’ingresso e il campetto ricreativo sul retro, ma una volta varcato il cancello d’ingresso una cosa appare certa: gli spazi non sono sufficienti. Per questo alcuni migranti, quelli più giovani e in forze, sono costretti a ritagliarsi degli spazi lungo l’argine del fiume, quando il forte sole estivo consente loro di farlo. Le poche famiglie invece dormono e trascorrono le loro giornate in una stanza piuttosto ampia, diventata dormitorio e sala giochi per bambini tra i due e i nove anni d’età. La loro permanenza però non dura a lungo, sono infatti proprio le famiglie a riuscire – per motivi a noi ancora sconosciuti – a valicare il confine francese con più facilità, grazie al lavoro dei cosiddetti passeur (connazionali che, sotto lauto pagamento, aiutano i migranti ad attraversare la frontiera).

Ciò che accomuna giovanissimi e meno giovani, uomini e donne, sudanesi ed altre nazionalità, è l’obiettivo comune: riuscire ad arrivare nel Paese d’oltralpe. Sembra essere di poca importanza la destinazione desiderata, potrebbe trattarsi della Francia stessa, della Germania o della Gran Bretagna (la Brexit, in questo, non ha inciso per niente).

Nessuno – o quasi – vuole restare in Italia. La maggior parte delle richieste che provengono dai migranti che si recano allo sportello Caritas di Via San Secondo è di un kit vestiario contenente principalmente scarpe in buone condizioni e un borsone: l’essenziale per mettersi in cammino. Quando chiedo a M. perché l’idea di restare nel nostro Paese gli sembri così remota mi risponde, senza mezzi termini: “Ho fatto migliaia di chilometri a piedi e ho visto compagni di viaggio perdere la vita nel tragitto pur di scappare da una terra senza speranze, perché accontentarmi di vivere in un paese come l’Italia, senza futuro?”. Le sue parole mi lasciano basita, ci rifletto un secondo cercando qualcosa di sensato per controbattere, ma non riesco a trovare nulla.

I pochi colloqui avuti con gli ospiti del centro mi hanno convinta della stringente necessità di fornire una minima assistenza legale che consenta ai migranti di comprendere i loro diritti e le conseguenze giuridiche dei loro percorsi.

Moltissimi di loro non sono a conoscenza delle norme europee in materia d’immigrazione, in particolar modo del Regolamento di Dublino, e hanno finora ricevuto solo sporadiche e poco chiare informazioni da connazionali già residenti in un Paese europeo.

Impossibile anche in questo caso non ripensare alla “P” di precarietà.

Precaria la situazione dei migranti da un punto di vista legale, precaria la condizione del campo e dei suoi spazi abitativi, precario il lavoro dei volontari, che nonostante si prodighino con grande passione ed energia per la causa, non riescono a dare risposte sufficienti ai tanti bisogni dei migranti. Dalle otto del mattino fino a tarda sera si danno il cambio uomini, donne e ragazzi/e provenienti dal mondo dell’associazionismo italiano e francese e semplici volontari spinti dal desiderio di rendersi utili, ma l’apporto di tempo ed energie non sembra bastare mai.

In questa condizione di incertezza sul futuro del campo e dei suoi ospiti – vista la prossima apertura di una nuova struttura gestita da Croce Rossa Italiana che ospiterà centocinquanta migranti -, il lavoro del Direttore Caritas Maurizio Marmo e i futuri progetti del pastore valdese Jonathan Terino e del Comitato Articolo 2, che riunisce le principali associazioni, mi portano però ad affermare con convinzione che, nonostante tutte le difficoltà, vi siano i migliori presupposti per consolidare e rendere più efficiente il lavoro all’interno dell’attuale campo.

Nel dizionario immaginario che ho creato in questi pochi giorni di lavoro a Ventimiglia vorrei quindi aggiungere (e spero, nel breve termine, sostituire del tutto) alla lettera “P” di Precarietà, la più bella lettera “S”. La “S” di Solidarietà.

 

Per contribuire all’acquisto di beni di prima necessità (cibo e vestiario) da consegnare ai migranti bloccati a Ventimiglia si può fare un’offerta sul conto corrente della Diaconia Valdese intestato a:  

CSD Servizi di inclusione

IBAN IT64T0335901600100000139674 

causale: “progetto Ventimiglia