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Il pluralismo religioso come sfida per la diaconia

A Utrecht, quarta città dell’ Olanda, la Protestantse Kerk (Chiesa protestante) e la Kerk in Actie (Diaconia) hanno sede nello stesso fabbricato: un palazzo basso, moderno, semplici mattoni rossi, aule hi-tech per incontri e gruppi di lavoro, e una cappella, con ampie vetrate decorate, dove al mattino la giornata lavorativa inizia intorno alla parola del Signore. In questo ambiente sobrio e dinamico, si è svolta dall’ 8 al 10 giugno l’annuale Assemblea generale di Eurodiaconia, rete europea di 47 chiese e ong cristiane attive nei servizi socio-assistenziali e nella promozione dell’ inclusione e della giustizia sociale. L’ Assemblea verifica il mandato e il bilancio ma è anche l’ occasione per i membri di condividere riflessioni di indirizzo. Tema di quest’ anno l’ ospitalità come disposizione fondamentale per l’ impegno sociale e diaconale delle chiese.

I nodi irrisolti e le tensioni di un’ Europa incompiuta sul piano politico e sociale, sembrano sul punto di esplodere: le chiese e le organizzazioni diaconali si confrontano quotidianamente con la crescente domanda di nuove risposte alla vulnerabilità di gruppi sociali fino a ieri garantiti e capaci di futuro (ceto medio, giovani, anziani). Contemporaneamente fratelli e sorelle richiedenti cittadinanza chiedono ospitalità, costringendo l’ Europa a fare i conti con l’ irrisolta dialettica tra identità e differenze.

Invitato all’ Assemblea, il prof. Johannes Eurich (direttore dell’ Istituto Scientifico Diaconale della Facoltà di Teologia dell’ Università di Heidelberg e docente di Teologia pratica – Scienze diaconali), ha sviluppato il tema dell’ accoglienza proprio dall’ angolazione dell’ impatto e dell’ opportunità che l’ incontro con lo straniero e il pluralismo religioso hanno sulle chiese e le pratiche di diaconia. In un contesto in cui sembra esaurirsi la capacità descrittiva dell’ enunciato di J.F. Lyotard (1979) sulla «fine delle grandi narrazioni» (la post-modernità come fine dei paradigmi interpretativi totalizzanti e delle pretese verità assolute), emergono nuove rivendicazioni di verità, anche fortemente esclusive. Il pluralismo religioso è una realtà costitutiva del tessuto sociale europeo: persone di differenti convinzioni religiose vivono fianco a fianco, e l’ identità religiosa è affermata dal migrante, come elemento decisivo nella definizione di sé e della propria identità culturale. In Germania il 30% degli studenti ha un background migratorio e non cristiano. Parallelamente, nei paesi dell’ Europa occidentale, i giovani adulti di oggi sono il gruppo meno integrato di sempre nella vita delle chiese cristiane. Da qui, la sfida per chiese in termini di legittimazione, identità e capacità di attrattiva.

Eurich si confronta con uno dei massimi esponenti della fenomenologia contemporanea, Bernhard Waldenfels (Essen, 1934). Convinzione di Waldenfels è che nessuno sia padrone in casa propria. L’ estraneità non è solo esterna ma dimora nella nostra stessa intimità: nessuno di noi possiede una completa autotrasparenza, nessuno di noi – in quanto individuo e in quanto cultura – è completamente accessibile e assimilabile a se stesso. L’ inaccessibilità costitutiva tra le differenze culturali, la loro non completa assimilabilità, si fonda su un’ originaria co-implicazione, che salda nel soggetto le differenze. La relazione tra proprio ed estraneo corrisponde pertanto ad «un reticolo, un “intreccio”, in cui il proprio e l’ estraneo si co-implicano, in cui ci sono punti nodali e collegamenti trasversali, ma nessun centro» (Fenomenologia dell’ estraneo, Raffaello Cortina, Milano 2008).

Su questa base il «pungolo dell’ estraneo» può stimolare una risposta innovativa da parte dell’ interpellato, in un processo continuo di rinegoziazione dell’ incontro. Il pluralismo religioso è pertanto un’ opportunità di innovazione per le chiese e le organizzazioni diaconali che possono disporsi all’ ospitalità con apertura, capacità di ascolto, narrazione di sé ma soprattutto disponibilità al cambiamento. La tradizione biblica fonda l’ azione diaconale sull’ amore incondizionato di Dio, rivolto a tutti gli uomini e le donne: l’ amore supera la rigida distinzione dentro/fuori, abolisce le frontiere e abbraccia tutte le differenze senza volerle né poterle assimilare ma, al contrario, mettendole in movimento l’ una verso l’ altra, sapendo che l’ unico centro è l’ amore di Dio. Questo pone l’ azione delle chiese e delle diaconie nella luce di un pensiero dell’ inclusione, del cambiamento e di un’ azione ispirata al principio della Grazia e dell’ incondizionata dignità umana. In questa prospettiva le chiese, e quindi le organizzazioni diaconali, possono essere considerate «le scuole di apprendimento sociale entro l’ orizzonte di un Dio che si concede all’ essere umano in modo radicalmente sociale, per mezzo di Gesù Cristo» (Fuchs, 2014).

Nella dichiarazione finale dell’ Assemblea si legge: «L’ ospitalità è un elemento centrale della diaconia. Si tratta di come ci relazioniamo gli uni agli altri nelle nostre comunità locali. Si tratta di rispettare reciproche differenze pur riconoscendo le nostre e altrui imperfezioni. L’ ospitalità è aprire i cuori e le porte a chi è nel bisogno, pienamente consapevoli che anche noi abbiamo bisogno di solidarietà e di speranza – si tratta di dare e ricevere».