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«Che coppia era?»

Siamo arrivati al numero 61, sessantuno donne uccise in Italia dall’inizio dell’anno, una cifra ragguardevole nell’ormai noto conteggio nostrano dei femminicidi. Sì, perché anche i femminicidi sono ormai ridotti a un’enumerazione, una categoria da aggiornare – sempre che la si riconosca come tale, dato che la parola “femminicidio” dà ancora fastidio a molti – un articolo che da apertura scivola inesorabile verso le pagine interne, taglio basso. Sessantuno donne uccise dal compagno, o dal marito, o dal fidanzato che non si rassegnava a diventare ex: un’occasione per parlare di nuovo di “raptus della gelosia”, di “amore folle”, di “bravi ragazzi che non sopportano il dolore della separazione”. L’ultima, ieri: lui la uccide sotto gli occhi della figlia. La giornalista al telegiornale intervista un vicino: «Che coppia era?».

Perché è sempre un po’ anche colpa sua, che non lo capisce, che lo provoca, che non lo ama più, che non gli restituisce più quell’immagine di sé di cui lui ha tanto bisogno. Anche se sappiamo che non è questione di relazione amorosa, anzi, non è questione d’amore tout court: la violenza con l’amore non c’entra nulla, lo abbiamo detto mille volte. E dunque? A parte invocare una “Carta di Roma”, un vademecum deontologico che controlli come vengono date le notizie sul femminicidio, che cosa possiamo fare? Perché il punto non è quanto piangiamo o quanti “mai più” ripetiamo dopo ogni donna insultata, picchiata, violentata, uccisa; il punto è che quello che dovremmo fare come Paese, non lo facciamo.

Non sono le scarpe rosse, i posti occupati, i manifesti, le manifestazioni, i documenti congiunti, le dichiarazioni di principio e di cordoglio, i corsivi sdegnati sull’argomento (per primo il mio) a cambiare la situazione: sono gli investimenti ai centri di ascolto, ai progetti di “affettività maschile” (per esempio quello promosso dal Gruppo Abele con il sostegno dell’otto per mille della chiesa valdese), è l’introduzione dell’ora di educazione sentimentale nelle scuole, è una sanità che applica la legge e non discrimina chi sceglie di abortire, è la costruzione metodica e serrata di un immaginario diverso, che rifiuti le pubblicità e i programmi televisivi sessisti, gli stereotipi di genere, i giochi rosa e azzurri, l’abbigliamento sexy per le bambine; che la faccia finita con i miti distruttivi del maschio predatore e della femmina vittima.

E invece che cosa abbiamo? Consultori e centri antiviolenza che chiudono uno dopo l’altro per mancanza di fondi – ma dove destinare i soldi pubblici è un decisione politica, non una fatalità – intere regioni in cui ormai interrompere una gravidanza è impossibile, scuole in cui parlare di sesso, prevenzione delle malattie e rispetto dell’altra è diventato tabù, pena la comparsa del fantasma del gender. Sì, perché parlare di sessualità a scuola significa indottrinamento ideologico, sponsorizzazione dell’omosessualità e transessualità, in una parola corruzione di minorenni.

Negli ultimi anni si è assistito a una strana involuzione dei costumi: tornano di moda la verginità e la “purezza” per le ragazze, che vanno di pari passo con la passività, la mitezza, la “naturale” predisposizione della donna alla cura e al sacrificio. Sono segnali inquietanti. Affermare che la moglie deve essere sottomessa al marito, come si è sentito dire anche al “family day”, non è un’opinione come un’altra. Maschilismo, rifiuto della sessualità omosessuale e transgender non sono posizioni innocenti e forse questo dovrebbe cominciare a far riflettere chi le difende anche in sede istituzionale o nelle chiese.

Oggi, tuttavia, un segnale positivo c’è. Il 27 giugno, dopo anni di lotte, finalmente è arrivata in Parlamento la proposta di legge sull’educazione all’affettività, promossa dalla deputata di Sel Celeste Costantino. Una legge prevista dalla stessa Convenzione di Istanbul votata all’unanimità ormai tre anni fa e che dovrebbe portare l’Italia a livello europeo. Una legge sostenuta dalla campagna “1oradamore”, con il coinvolgimento di chi lavora sul campo con le donne e che parla di prevenzione e non di punizione. L’iter parlamentare non sarà semplice e per questo va sostenuta “dal basso”, con determinazione e speranza che questo sia soltanto il primo di molti cambiamenti sostanziali. Con un occhio ai cattivi maestri sempre in agguato.

Ps: dopo 12 ore dalla stesura di questo articolo, siamo già a quota 63. Nessun dubbio che il numero lieviterà ancora, magari proprio mentre lo state leggendo.

Immagine: via flickr.com